Frocio, finocchio, checca, ricchione, rottanculo, succhiacazzo, addirittura pederasta, o i più dialettali cula, busone, caghino. Quanti modi ci sono di insultare un omosessuale? Ruben Montini (1986, Oristano) ne ha elencati 49 nella sua mostra Lame, con un testo di Eugenio Viola (neo-nominato curatore del Padiglione Italia alla prossima Biennale), alla Prometeo Gallery fino al 16 giugno.
La ricerca di Montini si è sviluppata, dal 2007 ad oggi, in una lotta coerente agli stereotipi eteronormativi legati a sesso, orientamento sessuale e identità di genere. Attraverso i suoi atti performativi, ha messo il suo corpo – nudo – al centro.
Il suo corpo, esibito, tatuato, martoriato e insanguinato, glorificato, ma soprattutto vissuto, ha messo in scena una personale Passione. In una autoinflitta via crucis, ha raccontato sulla propria pelle i traumi, il dolore e la sofferenza che la società infligge su chi è “diverso”.
Se non uccide fortifica (2020) è il racconto della performance realizzata per l’inaugurazione di CONFINO, lo spazio che Montini ha aperto nel 2020 per ospitare giovani artisti omosessuali.
In questa azione, si è tatuato sulle braccia la storpiatura al femminile del proprio nome “Nicoletta Rubenitta” (da Nicola Ruben). Espressione autobiografica della propria infanzia, questo era il nomignolo usato dai suoi compagni di classe per ridicolizzarne gli atteggiamenti effemminati. Un ricordo che l’artista porta costantemente con sé e che diventa parte fondante del suo essere.
Lame (2021) è il lavoro che titola la mostra. Una catalogo di 49 insulti omofobi che l’artista mette in fila, ritagliati su organza di seta rossa e cuciti su composizioni di broccato sardo, pizzi e velluti. La cucitura, considerata storicamente pratica femminile della lentezza e della grazia, si fa così violenta e irriverente, come un manifesto di lotta piuttosto che come graziosa decorazione.
Il contrasto è poi accentuato dal dialogo tra le Lame e le opere di Nicolò Bruno, del duo Prinz Gholam 4 e di Karol Radziszewksi,che ritraggono scene di amore omosessuale.
“Ne uccide più la lingua che la spada”, recita il detto, e per questo Montini affigge un vero e proprio stendardo che recita: “Coming out is not a private matter, it’s a poltical act and a social responsability”.
Fare performance, fare arte, vuol dire raccontare l’urgenza di qualcosa. E in un momento storico in cui in Italia il DDL Zan, unica tutela per chi questi insulti non ha ancora potuto trasformarli in forza, ancora stenta a essere anche solo preso sul serio, questa mostra è forse il sintomo di un’urgenza che finora è stata fin troppo – e ingiustamente – sottovalutata.
“Lame” di Ruben Montini, fino al 16.06.2021, PROMETEO GALLERY Ida Pisani