Fotografie di Carla Petrone
“Si sa che gli attacchi di epilessia, sopravvengono improvvisamente. In quell’attimo tutto il volto si deforma improvvisamente e orribilmente, e specialmente lo sguardo. Gli spasimi e le convulsioni scuotono tutto il corpo e sconvolgono le fattezze del volto. Dal petto si sprigiona un urlo spaventoso, indescrivibile, che non somiglia a null’altro; è come se tutto ciò che c’è di umano in quell’uomo scompaia con quell’urlo, e per chi assista a quello spettacolo è assolutamente impossibile, o perlomeno molto difficile, ammettere o perfino immaginarsi che sia la stessa persona a urlare in quel modo. Sembra addirittura che a gridare sia qualcun altro, qualcuno che si nasconde dentro quell’uomo. Perlomeno, sono numerosi coloro che hanno cercato di spiegare in tal modo l’impressione provata a quella vista, ma in molti altri la vista di un uomo in preda a un attacco di mal caduco determina un inesprimibile, intollerabile terrore, che ha in sé qualcosa addirittura di mistico.” E’ da questo breve passo de “L’Idiota” di F. Dostoevskij che la fotografa partenopea Carla Petrone ha deciso di sviluppare un progetto fotografico sull’epilessia, intitolato il “Grande Male”, con l’intento di raccontare come ci si sente durante una crisi epilettica, esprimere emozioni, provando anche a sensibilizzare le persone nei confronti di questa malattia che è molto più comune di quanto si possa pensare.
“Il mio è un percorso personale, mi fu diagnosticata l’epilessia all’età di 19 anni, oggi ne ho 27 e grazie alla fotografia, che paradossalmente avrebbe potuto farmi del male, ho imparato ad esorcizzare e a convivere con questa malattia. Con la mia testimonianza voglio che le persone capiscano che avere una patologia neurologica non significa essere impossibilitati dal vivere una vita straordinaria. Delle volte mi sembrava che un corpo elettrico vagasse al mio interno, prima di una crisi, partendo dal mio cervello, per ogni fibra del mio corpo. Quello che ho cercato di fare è raccontare tutto ciò che ho sentito durante quegli attimi interminabili, dalla spersonalizzazione del mio volto, l’incoscienza e l’atemporalità che senti così come l’elettricità, la paura, l’ansia, il silenzio, il rumore assordante nella tua testa ed infine la luce, la calma.”
“Chi soffre di epilessia non sempre accetta i propri limiti, non sempre riesce a sbarazzarsi del proprio stato e questo fa sì che, in alcuni casi, si faccia sfociare il proprio dolore in altri modi, (come la depressione) chiudendosi nel proprio mondo. Lo scopo del mio progetto è quello di uscirne fuori definitivamente e di sensibilizzare chi non ha vissuto situazioni del genere, aiutare ad accettarle a chi le ha vissute o le sta vivendo. La fotografia è stata la mia via di fuga, mi ha aiutato verso la strada dell’accettazione; nonostante non sia consigliato ad un epilettico stare a contatto quotidianamente con flash (forti scariche di luce) ho deciso che sarebbe stata la mia àncora e sfida allo stesso tempo; la fotografia per me è l’espressione del proprio Io, delle proprie paure, delle proprie esperienze cognitive.”
Il progetto si sviluppa in maniera molto intima in una serie di autoritratti in bianco e nero che la fotografa ha scattato dopo una delle ultime crisi vissute.
“Una scossa elettrica, un torpore,
il buio, la luce, di nuovo il buio.
La calma, quasi fa male;
Una scossa elettrica che pervade
il mio corpo, la mia anima,
questa è la pace;
di nuovo quella luce,
un abisso di luce; perché ritorna
sempre il buio? Niente. L’elettricità nelle mie ossa. Diventa quasi un’abitudine, una brutta abitudine.
Ti senti debole, poi forte,
di nuovo debole.
Se quell’elettricità fosse in realtà
la fonte della Mia pace?
Vivo in un equilibrio elettrico.”