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Courtesy of press office

Un incubatore di talenti under 26. A Roma giunge alla seconda edizione “Soho Mentorship”, l’originale format che, istituito a livello internazionale nel 2018, mette in contatto durante 16 settimane i membri della Soho House con i giovani della loro città, per far crescere le loro connessioni, la fiducia e l’esperienza, fornendo loro un percorso per accedere al campo creativo prescelto. Compilando online l’application form, mentor e mentees si incontrano e, step by step, si confrontano e si scoprono. “Il progetto – racconta Luca Mazzullo, head of membership & communications Soho House Roma – è meraviglioso, rompe infatti delle barriere riuscendo a connettere personalità che hanno compiuto già un loro percorso professionale e che decidono di supportare coloro che si stanno introducendo alla loro carriera e che magari per diversi motivi (economici, sociali e culturali) fanno più fatica ad iniziare il loro percorso. La Soho House è una grande community la cui forza è nel gruppo e nell’interazione tra i members.” È’ stato emozionante scoprire e intervistare per Spaghetti Mag alcuni dei partecipanti dello speciale progetto che hanno rafforzato ancor più la convinzione che la conoscenza di se stessi passa sempre più dal confronto con l’altro. Lo sanno bene Francesca Cama (mentor) e Nicola Aliventi (mentee) che da questo incontro casuale ne sono usciti più forti diventando persino amici.

Francesca Cama è un’artista poliedrica che ha fatto della sua unicità la sua forza. Ballerina, coreografa e direttore creativo ha debuttato nella prima trasmissione televisiva Rai già all’età di 9 anni. “Sono all’alba di un nuovo momento della mia vita – dichiara – perchè ho fatto vent’anni di carriera in cui più di quello che ho fatto non potevo desiderare. E paradossalmente quando hai tanto vuoi dare tanto. Nasce così il mio ruolo di mentore.”

Come nasce la passione per la danza e per le arti?
Sin dai 4 anni, mi sono dedicata con disciplina agli studi di danza classica, jazz e acrobatica. La “chiamata” l’ho avuta guardando una videocassetta con protagonisti Margot Fonteyn e Nureyev che interpretavano “Il Lago dei cigni”. Davanti lo specchio del salotto ho iniziare a fare un movimento con le braccia e ho scoperto improvvisamente il concetto di armonia. Sono corsa da mia madre e le ho detto che sarei diventata una ballerina.

Hai iniziato giovanissima, raccontaci un po’ di te.
Io sono figlia di medici e ho sempre desiderato essere in prima fila. Ho lavorato per Coolio, per Panariello, Enrico Brignano, J-Ax, Cesare Cremonini, Gigi D’Alessio, Modà, Pino Insegno, sono stata referente a Roma per Kenzo e per Bulgari, sia come ballerina che come assistente coreografa, curando anche i movimenti delle modelle nell’ultima sfilata presentata a Venezia. Io ho il fuoco dentro.

Hai lavorato in Italia e all’estero, che differenze hai riscontrato?
Una delle esperienze più rilevanti della mia carriera riguarda i 10 anni durante i quali ho vissuto tra l’Italia e gli Stati Uniti, spostandomi continuamente tra New York, Los Angeles e Las Vegas. Qui sono stata soprannominata la Mariah Carey del voguing e sono stata per oltre 5 anni Leader italiana della House of Amazon, fondata dall’icona mondiale Leiomy Maldonado. L’arte è integrata nella cultura degli americani, lo considerano un lavoro, l’arte li salva ogni giorno. La bellezza salverà il mondo è integrata nella loro forma mentis ed è una cosa che manca in Italia.

Un consiglio da dare a chi intraprende un percorso artistico?
Bulldozers always come mood di vita. Chi si sente di non avere una collocazione in Italia deve girare, esplorare, conoscere e perchè no? Andarsene anche all’estero e provarci. Siamo in un momento di grande cambiamento, occorre agire adesso.

Per il 24enne Nicola Aliventi (mentee) tutto è stato “un viaggio pazzesco”.

Moda e beauty: hai fatto delle tue passioni un lavoro. Parlaci di te.
Sono originario di un piccolo paese delle Marche, ubicato tra Pesaro e Urbino e sono laureato in fashion design. Sin da giovanissimo ho avuto una grande passione per il trucco; guardavo su youtube video tutorial di make up artist famosi e replicavo poi i loro look sui miei canali social. Una volta arrivato a Roma ho scoperto il mondo della notte e ho visto per la prima volta dal vivo la figura della Drag Queen che mi aveva sempre colpito nei film. Ho capito in quel momento che quella espressione artistica poteva unire le mie passioni (danza, moda e beauty); da lì è nato il mio personaggio Δάφνη Webster: Dafne come il personaggio mitologico greco, Webster come il cognome di Stormi, la figlia di Kylie Jenner.

Ci racconti del percorso fatto con Francesca?
Io conoscevo Francesca a livello professionale. Ci siamo trovati a maggio a fare il programma insieme e sin dal primo momento abbiamo instaurato tra noi un rapporto unico. Il nostro è stato un percorso fatto da chiacchiere profonde che abbracciavano l’aspetto personale e professionale. Abbiamo lavorato sulla mia consapevolezza, sui dubbi artistici che avevo e su parte dello show (scelta delle musiche, del look e delle luci). Era necessario per me conoscere Francesca, a livello personale è stato fondamentale l’incontro con lei.

Obiettivi e paure.
Mi sono prefissato di conoscere più persone possibili e di conoscere sempre più me stesso

Prossimi step?
Crescere professionalmente!

Energia attrattiva e respingente quella che invece si è creata tra Karima 2G (mentor) e Miriam Dartey (mentee).

Karima 2G è lo pseudonimo di Anna Maria Gehnyei, cantante, danzatrice, e producer italiana di origine liberiana che ha riconosciuto in Miriam le sue stesse fragilità iniziali. “In quattro mesi – sostiene Karima – ho vissuto con lei emozioni diverse. C’è stato amore, allontanamento, perdita, sentimenti contrastanti che ci hanno permesso di crescere passo dopo passo.”

Dalla danza alla musica per finire alla consolle. Sei un’artista poliedrica, come nascono queste passioni?
Io dentro di me porto la voce dei miei avi. Volendo risalire alle mie radici africane, sono partita alla scoperta della Liberia. Ho imparato nel tempo che la musica poteva trasmettere i valori della mia cultura e così ho iniziato a cantare per gioco. Ho ballato in locali, ho fatto la vocalist professionale, sono stata voce ufficiale di M2o, ho prodotto e scritto il mio primo album da solista nel 2014, ho debuttato nel 2022 con il mio primo spettacolo teatrale “If There Is No Sun”, di cui sono anche autrice.

Hai lavorato in Italia e all’estero, che differenze hai riscontrato?
Quando ho iniziato, in Italia ero vista come una ragazza nera che protestava, un attivista. In America dicono “I see you, i feel you” e ci credono. Loro hanno visto un’espressione d’arte, un heritage e lì per la prima volta mi sono vista. Qui è tutto diverso, si fa più fatica ad emergere.

Un consiglio da dare a chi intraprende un percorso artistico? Non smettere mai di cercare e di ascoltarsi.

Hai mai trovato ostacoli lungo il tuo percorso?
Si, gli ostacoli che si affrontano nel crescere in Italia da immigrato di seconda generazione. Li racconto anche nel libro “Il corpo nero” pubblicato dalla casa editrice Fandango, la storia di una generazione, la seconda, fatta da chi viene visto solo come un bambino immigrato. La storia tutta umana, fatta di ricordi, suoni, amore e vergogna, di chi nonostante il mancato riconoscimento dalle istituzioni e una cittadinanza negata, decide di non cadere nella trappola del vittimismo. Un libro politico per le nuove generazioni che non hanno voce.

La 25enne Miriam Dartey (mentee) ha scoperto ad Amsterdam il programma Soho Mentorship decidendo, una volta tornata in Italia, di fare richiesta di partecipazione al programma alla Soho House di Roma. “L’obiettivo – racconta – era trovare qualcuno nel settore con cui potermi confrontare onestamente sulle cose fatte e da fare. Non sempre i confronti vanno come uno se lo aspetta, non sempre le persone hanno lo stesso modo di comunicare o trovano un punto di incontro. Questo è capitato con la mia mentor per esempio”.

Hai sempre vissuto “tra due mondi” visto le tue origini. Quanto è stato difficile per te affermare la tua identità?
Mi chiedo spesso chi sono, sono una persona alla continua ricerca. Il mio non è un stato percorso semplice. Sono una ragazza italo-ghanese cresciuta in provincia di Modena, con tanto da dire e una voce per farlo. Ho sempre vissuto a metà tra due mondi, tra mia madre busker e mio padre operaio, tra la musica gospel e il folk irlandese. La prima volta che sono salita su un palco avevo 3 anni, mia mamma mi accompagnava alla chitarra mentre cantavo una filastrocca alla sagra del paese. Il mio è stato un percorso di accettazione. Mi sento vicina al cantautorato italiano, mentre la mia voce ha un suo corpo che è molto vicino al soul e blues.

Che ostacoli hai trovato lungo il tuo percorso alla Soho? L’ostacolo principale è stata la lontananza, io vivo a Bologna.

Obiettivi? Paure?
Vorrei trovare un’etichetta e farmi conoscere da quante più persone possibili. Vorrei fare sentire loro che non sono sbagliata anche se la vita continua a gridarci di farci piccoli e indifesi. E il modo che ho per farlo è raccontare le cose per come sono, a volte crude, a volte leggere, mai uguali. C’è ancora molto da fare e da tirare fuori e sono anche opportunità come quella offerta da Soho House a permettere ai giovani artisti di crescere e imparare.

Il tuo rapporto con la mentor.
A tratti spigoloso, altre volte armonioso. Ci siamo trovate a volte vicine altre volte lontane. Mi ha insegnato ad apprezzare anche il mio modo di esprimermi e a non smettere di cercare.

Il progetto Soho Mentorship è un progetto valido, che merita di essere conosciuto. C’era la luce negli occhi dei mentor e dei mentees che a Spaghettimag si raccontavano, cosa rara da trovare oggigiorno ma che è accaduta per l’intuizione vincente della Soho House.