“Fotografare vuol dire chiudere gli occhi. Guardare con gli occhi chiusi. Fotografare è un gesto di speranza e un gesto d’amore” Il Palais Galliera di Parigi rende omaggio al maestro della fotografia italiana Paolo Roversi con un’eccezionale retrospettiva sui suoi 50 anni di carriera, in mostra dal 16 marzo al 14 luglio 2024.
Prima di passare al digitale, per oltre trent’anni Roversi è stato inseparabile dalla sua Polaroid, arrivando persino a coniare una nuova parola per la sua tecnica: Paoloroid. E in effetti, potrebbe non essere un caso, come ama sottolineare egli stesso, che il grande fotografo sia nato nello stesso anno, ovvero il 1947, in cui Edwin Herbert Land inventò la Polaroid. Nel 1973 decide di ampliare le sue prospettive e lascia la sua Ravenna per stabilirsi a Parigi, la città a cui professionalmente deve tutto. Nel corso degli anni, Paolo Roversi ha esplorato, sviluppato e reinventato il proprio linguaggio fotografico. Non nasconde la sua ammirazione per Man Ray (1890-1976) ed Erwin Blumenfeld (1897-1969), fotografi che sperimentavano instancabilmente nei loro studi e nelle loro camere oscure. Ha tratto ispirazione dal modo in cui i fotografi surrealisti manipolavano i negativi e giocavano con la luce sotto l’ingranditore. I ritratti, seppia, sfocati, artistici, evanescenti, con innesti di colore sono una firma della fotografia di Paolo Roversi e cominciano a manifestarsi fin dai suoi primi scatti. A 8 anni infatti fotografa la sorella, dieci anni più grande, pronta per la serata del ballo, con il suo abito confezionato per l’occasione. Inoltre, fotografa paesaggi e sperimenta. “I passi avanti e gli sviluppi del mio lavoro sono stati spesso il risultato di incidenti”, ammette Roversi. I soggetti delle sue opere sono donne, abiti, silhouettes ma anche volti, sguardi e le emozioni che questi suscitano. Una ricerca costante di bellezza e creazione di spazi intimi. “La mia fonte di ispirazione è la vita: la musica, i film che vedo, i libri che leggo, le persone che incontro. Una ispirazione senza fine perché è la vita che vivo”. Attraverso le sue immagini ha trovato un modo per esprimere la sua estetica onirica, forse ricordando i cieli, talvolta a mosaico che tanto ricordano la sua nativa Ravenna. Gli shooting e le copertine di moda arrivano nel 1975. Successivamente, nel corso degli anni Ottanta ecco le collaborazioni con le grandi griffe e i più noti stilisti del mondo della moda. Ed è proprio qui, a partire da questa stagione lavorativa che ha inizio il “diario di lavoro”, la mostra curata da Sylvie Lécallier con la direzione artistica del maestro stesso. 140 opere fotografiche, tra cui alcune mai viste prima dal pubblico, oltre a riviste, lookbook, e inviti. Il percorso nell’arte, o meglio nella tecnica di Roversi, inizia infatti con le famose serie in cui ha lavorato con i grandi nomi del fashion, come Yohji Yamamoto, Romeo Gigli, Nino Cerruti e Rei Kawakubo di Comme des Garçons. Successivamente al visitatore vengono presentati i ritratti di diverse generazioni di super modelle in un percorso poetico ed artistico che ripercorre le collaborazioni tra Roversi e i magazine più prestigiosi, tra cui Vogue France, Vogue Italia, Egoïste e Luncheon.