Pioniere in progetti che hanno puntato i riflettori su aspetti della cultura della moda che necessitavano di essere approfonditi. Oggi, Alessio de’ Navasques ha un nuovo intento, quello di rendere sempre più accessibile la cultura dell’archivio e della ricerca, e lo fa iniziando da 10 Corso Como, nei nuovi spazi reinventati e restituiti alla città di Milano, dove mette in scena come curatore un progetto speciale tra arti visive e applicate: la mostra di Pietro Consagra di maschere e ornamenti per il corpo realizzati nel 1969, dove le maschere danno una nuova espressività al volto e alludono alla ribellione della moda contro gli stereotipi assegnati loro dalla società dominata dagli uomini.
Quanto ha significato per lei la riapertura di 10 Corso Como? E quanto a suo avviso in Italia ci sono o invece si sente la necessità di avere più spazi come questo?
10 Corso Como è uno spazio speciale, un ecosistema forse unico al mondo. Un luogo di ricerca che unisce un aspetto culturale – dove le intersezioni della moda e delle arti trovano piena espressione – ad uno commerciale. Come curatore, critico, studioso – non strettamente nella connotazione accademica – mi auguro che in Italia possano nascere nuovi spazi come questo. L’obiettivo che si è configurato qui, e che porto avanti nelle vesti appunto di curatore, è quello di sostenere la ricerca e la promozione di ciò che è cultura nella moda. Riuscire a strutturare un programma culturale, che possa veramente arricchire la città di iniziative, mostre, incontri, scambi su tutto quello che è approfondimento sul sistema della moda, che in Italia purtroppo manca tantissimo. 10 Corso Como ha una vocazione, una missione proprio di divulgazione e promozione.
Rimettere in discussione il concetto di moda, così come è stereotipato ed assimilato a livello globale dalla eterogeneitàdelle persone. Un progetto ardito, a dir poco impensabile ma in cui lei ci ha creduto fin dal principio. Ci spiega come è nata l’idea di “Fashion & Antiquity”?
È nata dal bisogno di trovare delle chiavi di lettura sulla moda che fossero diverse. Se parliamo di progettualità e di creatività secondo me c’è bisogno di stimoli alternativi. Questo ritorno alla classicità, all’antico è un qualcosa che, dal punto di vista creativo, è nell’aria: pensiamo solo alle mostre di Salvatore Settis alla Fondazione Prada. Antico non come ritorno al passato ma come un laboratorio per pensare al futuro attraverso la lente della moda. Ecco che si sono susseguiti interventi sui temi del senso simbolico e del rituale della moda, del corpo e dell’identità di genere, una riflessione aperta ed inclusiva in cui si indaga sul rapporto che lega l’Antico alla moda nella sua contemporaneità in cui si sono confrontati, forse per la prima volta, ricercatori, studiosi, curatori riconosciuti in tutto il mondo. L’unicità di questo progetto è stato quella di riattivare gli archivi di questi musei, attraverso la moda. Il tutto ha generato e seminato tante riflessioni che sono certo verranno poi sviluppate nei prossimi anni.
A.I. Artisanal Intelligence, la sua creatura, è l’incontro esplosivo tra artigianato e contemporaneità, la chiave che apre luoghi di Roma spesso impossibili da visitare, che fa emergere talenti nascosti mettendoli in relazione con artisti contemporanei, che racconta mestieri e aziende di eccellenza. Lei ha dato vita, insieme alla Storica del Costume e delle Arti Applicate Clara Tosi Pamphili, a uno spazio vitale verso cui c’è sempre tanta attesa e di cui non si può più fare a meno. Quanto studio, lavoro c’è dietro e quanto si sente orgoglioso di questa realtà che ha messo in piedi?
È un punto di partenza per me, il primo progetto strutturato che abbiamo portato avanti e che ha unito me e Clara in questa ricerca, che quando è nata, quasi 15 anni fa, è stata pionieristica perché non si parlava di artigianato come lo si fa adesso. Ricordo, infatti, le forti critiche mosse a Silvia Venturini Fendi che anziché parlare di alta moda puntò i riflettori su chi sta dietro le quinte, le figure che da sempre sono il motore del Made in Italy: gli artigiani. Oggi è ancora forte questo concetto perché è quel quid che non ha l’artificial intelligence, e l’evoluzione di questo progetto sarà proprio il dialogo tra l’artisanal e l’artificial, su come queste due intelligenze possano mescolarsi e generare quello che può essere una nuova prospettiva sulla creatività contemporanea. L’artigianato del resto è sempre legato ad un discorso di ricerca anche tecnologica proprio nella storia. Se pensiamo ai grandi artigiani della storia, sono stati dei grandi inventori.
Il mare è un elemento che si insinua dolcemente tra le sue “cose” più strettamente legate al lavoro. Complici le sue origini pugliesi o qualcosa di più profondo che le va di raccontarci?
Sicuramente le mie origini. C’è un senso di appartenenza a questo elemento, come un dialogo costante con quella dimensione, con il blu, il vuoto, guardare il mare, essere vicino all’acqua un po’ mi annulla a livello spirituale e mi rigenera.