Donano carattere ed identità ad un capo, e se per qualche tempo la moda non ha più dato loro la dovuta importanza, nel 1932 si sono riprese a gran titolo la loro studiata eleganza. Nel cuore di Manhattan, fino al prossimo 25 agosto, il Fashion Institute of Technology dedica una mostra alle maniche più d’effetto della storia della moda con una chicca per gli appassionati. Saranno, infatti, visibili al pubblico per la prima volta 80 creazioni che fanno parte della collezione permanente del Museum At Fit delle Masoin Dior, Schiapparelli, Balenciaga, Givenchy, Tom Ford e Vivienne Westwood. “C’è una gioia semplice in una tendenza che sposta l’attenzione dal corpo ai vestiti veri”, dice la fashion editor Jess Cartner-Morley; ed in effetti il gioco e l’estro che si celano dietro la costruzione delle maniche fanno sì che le stesse non siano stereotipate ad un genere, corporatura o status economico, ma siano libere di pensarsi innovatrici tra passato e presente. “Statement Sleeves”, curata dalla responsabile Costumi e Accessori del Fit, Colleen Hill, evidenzia come le maniche fungano da modalità vitale di autoespressione che riflette i nostri movimenti e i nostri gesti in una danza capace di mostrare le tendenze legate a specifiche epoche mettendo in evidenza come il proprio ruolo sia stato e sia espressione di gusto e personalità. La sezione introduttiva, Fundamental Forms, da la possibilità ai visitatori di concentrarsi sulla forma della manica, partendo dalle forme comuni come la campana, l’alfiere e il raglan. Si prosegue con l’Opening Statement che alza il sipario sulle maniche elaborate. Negli anni ’30 i designer prediligevano il dettaglio intricato. Negli anni ottanta l’eccesso della moda si esprimeva attraverso maniche oversize in tessuti lussuosi. Un abito di Madame Grès del 1980 con maniche over drappeggiate è mostrato insieme ad un abito della primavera del 2022 di LaQuan Smith che combina drappeggi e maniche a sbuffo per creare un allure contemporanea. Nella sezione Embellishment and Adornment, due abiti sartoriali uno dei primi anni ’50 di Adrian e l’altro della collezione prét-à-porter della primavera 1992 di Yves Saint Laurent, esemplificano come i modelli convenzionali possano essere resi spettacolari se arricchiti semplicemente da maniche voluminose. La sezione finale è poi destinata ad un design giocoso che mischia tessuti e stili ed esplode attraverso il colore. Una mostra celebrativa, quindi, che non manca di spunti riflessivi e che sottolinea come dietro un vezzo – che però da sostegno e carattere ad un look – si nasconda, spesso, una funzione che va oltre il motivo per la quale è stata pensata.