Creazioni in pizzo e chiffon, abiti sartoriali dalle sfumature fluo, preziosi gioielli massimalisti e baroccheggianti al centro delle sale del Victoria & Albert Museum di Londra per la prima retrospettiva britannica che celebra la più grande couturière francese. “Gabrielle Chanel. Fashion Manifesto” è la mostra che, fino al prossimo 25 febbraio, traccia l’evoluzione dello stile di Mademoiselle Coco, partendo dalla fondazione della maison parigina. Dall’inaugurazione, datata 1910, della sua boutique di modisteria in Rue Cambon nella Ville Lumière alla presentazione dell’ultima collezione nel 1971, l’esposizione di circa 200 look, tra cui pezzi storici insieme ad accessori e profumi, è un tuffo nello charme e nella libertà, che diventano indipendenza e gioco sui paradossi della femminilità con i suoi accenti ribelli e femministi.
Una reinterpretazione del percorso espositivo organizzato dal Palais Galliera di Parigi dove, fra i tanti, si possono ammirare i costumi disegnati per la produzione dei “Ballets Russes” di Le Train Bleu nel 1924 accanto ai capi realizzati per le dive di Hollywood come Lauren Bacall e Marlene Dietrich o quello tempestato di diamanti ideato per l’attrice Gloria Swanson che lo indossò nella commedia “Tonight or never” del 1931. Inoltre, c’è l’abito da sera argentato scelto da Liz Taylor per incontrare la principessa Margaret del Regno Unito nel 1967. Dieci le sezioni degli spazi museali che ne esplorano la carriera di modista sino agli atelier nelle località costiere, passando da Deauville e Biarritz. L’allestimento evidenzia come Chanel sia stata in grado di costruire un’immagine rivoluzionaria, distintiva e riconoscibile negli anni ‘20 e ‘30. «Quando si tratta di capire i tempi e ciò che richiedono, e di cogliere l’opportunità, nessuno lo ha fatto meglio di lei. Credo che la maggior parte delle persone la identifichi come una stilista del XX secolo, senza rendersi conto che era nata nel 1883 con tutto quello che ne consegue», spiega la curatrice del percorso Oriol Cullen. Con linee pulite, materiali fluidi e una tavolozza di colori semplicistica, i suoi progetti erano considerati discreti ma anche radicali per la loro natura pratica, funzionale e confortevole.
Un’ulteriore stanza è dedicata all’iconica fragranza Chanel N°5, amata dal mito Marilyn Monroe, e svela un inedito biglietto scritto a mano dall’indimenticata regina Elisabetta II che ringrazia un amico per il regalo. In risalto anche le ispirazioni anglofile di Coco, come l’adozione del tweed, tessuto in lana originario della Scozia, presente su sui manichini vestiti con l’inconfondibile tubino o il tailleur con giacche dal taglio maschile e i pantaloni ricamati di paillettes che l’allora direttrice di Vogue America, Diana Vreeland, era solita portare per accogliere gli ospiti. «Essendo una delle case di moda di maggior successo esistenti, Chanel deve molto ai modelli stabiliti per la prima volta dalla sua fondatrice oltre un secolo fa», sottolinea Tristram Hunt, direttore del V&A.
Un flashback di emozioni stilistiche in ordine cronologico, interrotte durante la Seconda Guerra mondiale, e rinate nel 1954 come illustrato dalle teche che, illuminate su due livelli, custodiscono long e mini-dress firmati dal genio della Couture «Gabrielle Chanel ha dedicato la sua lunga vita a creare, perfezionare e promuovere un nuovo tipo di eleganza basata sul movimento, una posa naturale e disinvolta, un’estetica sottile che rifugge ogni stravaganza, un’allure senza tempo per un nuovo tipo di donna. Quello era il suo manifesto, un’eredità che non è mai passata di moda», chiosa, invece, la direttrice del Palais Galliera Miren Arzalluz. La modernità e il magnetismo di Gabrielle riflettono le aspirazioni delle donne dell’epoca e l’emancipazione del loro posto nella società, come ha affermato il presidente di Chanel SAS, Bruno Pavlovsky, in una filosofia che ha contribuito a scrivere le pagine più importanti del fashion system sfidandone le regole e, spesso, remando contro i diktat delle tendenze in una rivoluzione visiva che ha saputo sfruttare l’abbigliamento, usandolo come un’arma silenziosa ma capace di far sentire la voce femminile in un universo tipicamente maschilista.