Giorgio Armani, Pal Zileri e poi Ferrari: quella di Rocco Iannone è una carriera in salita, fatta di determinazione, successi e vittorie conquistate e meritate. Il designer, di origini calabresi, ci racconta di sé, della propria visione della moda, dei suoi obiettivi a livello creativo, all’interno di un’azienda storica come Ferrari. Ci racconta ciò che ha imparato nel tempo e ci lascia respirare un’identità estetica e creativa ben precisa, raggiunta attraverso la curiosità ed il sacrificio di chi lascia la propria terra portando con sè la perseveranza di chi ha le idee chiare.
Nel 2019 è stato nominato Lifestyle Creative Director di Ferrari. Ci parli del suo “modus operandi” e di come intende trasmettere il lifestyle Ferrari.
Il mio primo passo è stato quello di comprendere l’impatto culturale del brand rispetto alla società. Dunque, in che modo Ferrari sia stata raccontata come azienda, ma anche come brand, attraverso quelle che sono le leve della nostra cultura, come la musica o il cinema. Mi sono interrogato su questo alone magnetico che il brand è in grado di trasmettere e trasferire e su come interpretarlo nell’universo del fashion e del lifestyle. C’è stato un lavoro volto allo studio, alla comprensione di quello che è il percepito del brand e di come le persone, il pubblico, lo leggono. Dunque, l’intento è stato quello di provare ad emanare tutto ciò attraverso una collezione differente ma che, allo stesso tempo, rimanesse continuativa rispetto al percepito e all’esperienza che il brand è in grado di offrire. Il mio approccio creativo posso dire sia partito prima dalla comprensione per poi arrivare alla traduzione dei valori che ho personalmente raccolto e che comprendono aspetti legati al design, come evidenziano la sinuosità delle linee. Fino ad arrivare a quella che è l’attitude. Sono quindi passato attraverso due step: il primo mi ha portato a lavorare sul design, mantenendo elementi di lessico vicini a all’idea estetica di Ferrari. In seconda battuta, ho poi volto sull’attitude, attraverso lo styling, il body language delle modelle e dei modelli con i quali ho lavorato, affinchè venisse fuori un’idea di self-confidence ben precisa.
Quali sono le tappe più significative del suo percorso professionale
Innanzitutto, posso dire di aver avuto la fortuna di incontrare ad ogni ciclo dei miei studi un’insegnante che sia stata in grado di aiutarmi e a leggere ciò che fosse più giusto per me. Ho avuto dunque la fortuna di essere guidato. Io sono nato e cresciuto in Calabria, successivamente mi sono trasferito a Milano dove ho frequentato l’Istituto Marangoni che mi ha consentito di entrare in contatto con un “audience” più internazionale, che mette insieme sguardi e punti di vista diversi tra loro. É stato per me molto formativo ed un qualcosa di affascinante. Un’esperienza importante per me è stata sicuramente quella in Giorgio Armani, che mi ha dato la possibilità di lavorare personalmente con il Signor Armani e di apprendere una visione del business a 360° e non solo a livello creativo. Il ruolo per la direzione creativa di Pal Zileri mi ha invece consentito di fare uno “step up” e di esprimermi come creativo al massimo. Infine, Ferrari mi ha dato l’opportunità di uscire dai confini e di approcciare universi linguistici e culturali diversi da quelli di mia provenienza.
Qualità, inclusività culturale e competizione: tre concetti fondamentali e dalle infinite declinazioni. Lei, personalmente, come li interpreta?
La qualità rappresenta un qualcosa a cui teniamo molto, in Ferrari, e che si traduce in una ricerca continua e spasmodica che nasce dalla materia prima e dalle tecniche di realizzazione di essa. L’inclusività è un tema importantissimo: Ferrari è stata la prima azienda in Italia ad ottenenere la certificazione per l’equal salary tra i due sessi. È un’azienda che ha fortemente a cuore l’implementazione della presenza femminile all’interno della struttura organizzativa. E poi, vi è il concetto di inclusione inteso anche dal punto di vista del lessico narrativo: tutti i nostri fashion show o campagne pubblicitarie, sono volte a voler includere il più possibile quella che è la diversità. In ultimo, la competizione rappresenta certamente un tema affascinante. Per me racchiude al suo interno qui valori e quelle caratteristiche di determinazione, caparbietà e resilienza che ci portano ogni giorno a voler credere in ciò che facciamo. Competizione significa abbracciare nuove sfide e nuovi progetti e perseguirli fino al loro raggiungimento.
Da dove trae le ispirazioni per il suo lessico creativo?
Mi ritengo un grande osservatore. Osservo tutto ciò che accade e che mi circonda e cerco poi di intepretarlo attraverso il bagaglio estetico e culturale che ho acquisito nel tempo. Ognuno di noi si è formato mediante una personale ricerca estetica, arrivando a crearsi una propria idea di piattaforma creativa. Mi ispirano la società, le persone, il costume. Sicuramente non i trend. Tutto ciò che è trend, tutto ciò che è fugace, non mi affascina affatto. Mi sento più un maratoneta, che non uno sprinter. Mi piace vincere nella lunga distanza e farlo attraverso la consapevolezza di ciò che sto compiendo.
È stato nominato per la VII edizione del Galà delle Eccellenze italiane 2023. Quali sono, a suo avviso, le caratteristiche che rendono la moda italiana unica al mondo?
La moda italiana è speciale per precise ragioni, come innanzitutto quelle semantiche, legate ai valori e di conseguenza all’idea di approccio al mestiere. Noi creativi italiani tendiamo ad intepretare l’estetica atrraverso una chiave di lettura ben precisa. Mi spiego meglio: in ogni cultura, italiana o europea che sia, ogni società esprime il proprio stile mettendolo a servizio di un obiettivo ben preciso. Per la Francia, lo stile è “ultimate mission”, per loro quello che l’immagine comunica è un obiettivo fondamentale da ricercare. Se si parla con un creativo tedesco, ci si accorgerà invece che è la funzionalità ad essere alla base di tutto. In Italia invece, parliamo di craftsmanship, di savoir fair, di artigianato. Pertanto, la nostra forma di creatività si mette al servizio di tutto questo. Essendo il Made in Italy, prima di tutto, un indotto industriale, tutte le aziende che si sono affermate e costruite nel tempo possiedono alle loro spalle un apparato industriale preciso. Questo rende il nostro stile particolarmente unico, perché fatto di un apparato territoriale in grado di esprimere l’eccellenza della maglieria o delle scarpe, in un’estetica. Questo connubio tra creativià e artigianato, la capacità di guidare la mano attraverso un pensiero, è esattamente la sintesi di ciò che possiamo definire italianità.
Quali sono i progetti che ha in mente per il futuro, sia a livello professionale che personale?
La mia vita è indissolubilmente legata al lavoro. Sono come un frate trappista, ho fatto del mio lavoro una missione! É un qualcosa che ho scelto, da sempre e da subito. Parlando di Ferrari, sto cercando di rendere il brand sempre più legittimo nel territorio che abbiamo abbracciato, più comprensibile e più facilmente identificabile, facendo focus su quella che è la ricerca creativa. Sotto il punto di vista personale, desidererei sicuramente raggiungere un maggiore equilibrio tra lavoro e tempo libero. Spero, un domani, di riuscire a dedicare più tempo a me stesso e agli altri, al di fuori della componente professionale. Attraverso i viaggi o attraverso la presenza maggiore nella vita di chi ho accanto. Per me stesso e per gli altri.