Mai uguale a se stesso e in continua evoluzione, “Il bambino che ero ambiva a fare la vita che sto facendo”
Rares, ci racconti di lei. Che Bambino è stato? E che uomo è oggi?
Il bambino lo sto capendo tanto in questo ultimo anno perché ho iniziato a vedere un’immagine di insieme. Mi sembra di conoscerlo meglio adesso. Questo bambino era un bambino appena arrivato da un altro contesto, un altro paese, un altro tutto che è partito da una profonda vergogna di tutto ciò che era. Utilizzavo il mio secondo nome, Gabriel perchè mi sembrava che il mio nome fosse troppo stravagante, casa mia non assomigliava a nessuna delle case dei miei amici. Si è creata così una dualità fra i me, quello fuori casa in qualche modo italiano, italianizzato e quello dentro casa che in realtà non combaciavano. Ed è stato così per un bel pezzo di percorso. Nel mentre ho iniziato a fare la musica, a farla seriamente e questo travaglio interiore me lo sono portato fino a quando non c’è stata la somma negli ultimi anni delle varie identità. In qualche modo questa cosa si rispecchia in Femmina anche perché negli altri lavori non c’era mai un accenno alla lingua rumena, a sonorità meno già stabilite o sentite. Questa cosa mi ha sempre pesato senza mai riuscire a ricondurre al vero problema di fondo cioè una non totale accettazione di se. Quindi il bambino e l’uomo sono due persone molto diverse e il bambino, beh la chiudo in bellezza, sarebbe fiero di quest’uomo. Il tutto è passato attraverso diverse crisi, l’ultimo anno è stato un anno di rivelazioni, passate anche attraverso il corpo che mi hanno detto: Calmati, capisciti. E quindi mi ritrovo qua ad essere un po’ più tranquillo con me stesso, anche perchè ho capito molto di più quel bambino. L’adulto di oggi è una persona che non sa bene dove sta mettendo in piedi, però cerca di andare avanti per una strada espressiva, creativa. Faccio molta fatica con il giudizio degli altri, ho molta paura di quello che gli altri pensano di me. Ho 25 anni, sono giovane per alcune cose e grande per altri. Questa è la sfida di adesso, mettermi in mostra con questo disco è frutto di un percorso. Ci ho messo due/tre annetti a dire: ok, tiro fuori questa roba qui. Proprio perché sapevo che mi avrebbe messo nella situazione di essere visto, essere guardato, studiato.
Ci parli dell’inizio della sua carriera e della sua passione per la musica. Come è nato il suo album discografico?
La carriera è iniziata da piccolo, da giocare alla playstation sono passata ai miei che mi hanno preso una chitarra. Come tutti in quinta elementare, prima media, ho visto che questa cosa diventava una parte molto importante della mia vita. C’era una mia amica che mi diceva che la mia chitarra sembrava la mia copertina di Linus, sembrava una cosa che usavo per mediare con gli altri. E da lì ho suonato tanto, il grande momento è quando ho conosciuto Panico Concerti che si sono presi cura, fatti avanti perchè ho vinto un loro contest che si chiamava “Freschissima” e quindi in qualche modo questo ha permesso a noi di fare un primo disco che era però molto suonato, acustico. Diciamo che a livello di sonorità era agli antipodi di quello che è successo adesso. Nel momento in cui si costruiva il cv, io nel mio privato non smettevo di fare musica. Ma c’era disparità tra le sonorità che emettevo all’esterno e quello che mi tenevo per me. sonorità, ma anche argomenti. In qualche modo c’era questo materiale musicale elettronico, sporco, l’interno di stomaco che si stava accumulando e mi chiedevo che cosa avrei dovuto farci. Piano piano, nel tempo, negli ultimi tre anni ho preso coraggio perché questo mood ha iniziato ad esistere tanto che in realtà quasi tutti i testi sono robe improvvisate, buttate con grande leggerezza, facilità. Cose mie, non era una cosa intenzionale buttarle fuori, solo che con il tempo ha preso forma questo organico di brani e ho capito cosa stavo facendo. E ad un certo punto, ormai più di un anno fa, abbiamo detto: ok facciamo un disco. Questo disco è Femmina e questi sono i pezzi. Da qua partiamo e da qui è partita l’avventura con il coinvolgimento di tantissimi artisti, di grafici, tantissime idee. è stato un bel percorso, diciamo; è stato un diario segreto che mi creavo per me diciamo. Questo disco sono stati degli appunti buttati là.
Cosa intende quando afferma che “l’album è un vero e proprio coming out della sperimentazione?”
Io dico questa cosa finalmente mi prendo quello che so di me e lo faccio e lo dico come va a me. In qualche modo il mio problema con gli altri due lavori è stato che mi ci trovavo, ma non nella mia completezza. Ho sempre avuto un po’ di timori, di vergogna addirittura. A me non piaceva che la mia musica venisse riprodotta, quasi non mi piaceva andare a suonarla perché c’è sempre stato qualcosa che non mi tornava. Invece in questa musica qui io mi rivedo completamente e questa cosa del coming out è un po’più un gioco di parole, non ha per forza un’accezione di sessualità, identità di genere, eccetera. Però siccome è un disco molto spinto, anche su immagini e tematiche erotiche, eccetera, lo rivedo, mi rivedo vedo quel lato di me messo a nudo e dico: ah vedi sono quello e anche quello e anche questo. E quindi il coming out è uscire verso gli altri e dire: Oh, se vi piace bene, se non vi piace è lo stesso. Finalmente io ho fatto una roba che so che sono.
Cosa si cela, per lei, dietro il fare musica?
Sempre nel bene o nel male perché a volte è un inghippo, un gran bisogno di, una funzione fisiologica emotiva, nel senso che vado a prendere delle cose che non mi tornano nella mia vita e provo a sistemarle in quel posto lì. Un po’ come giocare con i lego da piccolo, che prendi e attacchi attacchi stacchi. La mia dimensione musicale sta crescendo negli ultimi anni. Per me questo per me è stato un grande gioco o scherzo, mi tiene il lato leggero della cosa. La funzione è questa espletare degli intoppi, dei nodi emotivi e non, che sia rabbia, delusione o gioia. La prima reazione che ho è: faccio della musica. Il che non vuol dire prendere il microfono e fare. La musica è colore, provare o costruire un suono che abbia quelle sensazioni lì.
Esiste un fil rouge che lega tra loro le tracce?
Sono unite da un concept. Tutta questa musica nascosta è ossessivamente alla ricerca di una donna, sempre diversa. Nei momenti di grande sofferenza in cui sono nate queste canzoni sono sempre stata alla ricerca di una figura femminile, come se mi mancasse il supporto, l’amore di cui avevo bisogno senza rendermi conto che questa cosa la facevo in maniera ossessiva pensando e vivendo sempre situazioni diverse, lontane tra loro. Poi riascotandomi a distanza di mesi sembra che parli della stessa cosa. Il legante di questa musica è che io non sto cercando una donna, ma la mia donna interiore.
Quanto è difficile scrivere un testo e riuscire a trasmettere le proprie emozioni senza nasconderle?
Tutti i testi li ho scritto io. Tutte le emozioni le racconto così, la gamma è molto vasta. La funzione di questa musica è il bisogno di buttare via un po ‘di cose stagnanti.
Quali sono i sentimenti che le vengono alla mente se pensa al suo futuro? E con quale colonna sonora lo immagina?
Il futuro è diviso tra futuro globale e personale. Io e tutti i miei amici abbiamo avanti l’idea di un futuro potenzialmente auto implosivo, anche per alcuni è quello il punto di arrivo. Accelerare talmente tanto che poi bisogna fermarsi, che l’avventura che si sta vivendo a livello globale non sta andando per il verso giusto. Tutto il mio futuro è colorato da queste emozioni. Per quanto mi sforzi ho sempre una visione un po ‘grigia. Questo che colonna sonora può avere? Forse il nome di un disco “Etazhi” dei Molchat Doma, sonorità molto dark che si rifanno al post rock, post punk, musica molto scura. Mi viene in mente questo disco, molto molto bello in cui la musica prevarica i testi.