Romano di nascita e, ora, “fortemarmino” d’adozione. Tantissime esperienze, un solo uomo. Come ha iniziato il suo percorso nel mondo del food, qual è stata la spinta che lo ha portato ad intraprendere la sua carriera e quali sono le esperienze formative che ricorda con maggiore nostalgia?
La passione per la cucina, che mi ha portato poi ad intraprendere il mestiere del cuoco, deriva dalla mia famiglia. Sono cresciuto con il culto del bello e del buono. Ho sempre e da sempre provato un moto di emozione e di commozione di fronte ai gusti e ai profumi derivanti dai cibi della tradizione ed, in generale, dalle materie prime di qualità. Per quanto riguarda la mia scuola e la mia formazione, posso dire che il mio padre gastronomico, culinario e professionale sia Heinz Beck. A lui devo tutto. Non solo mi ha formato tecnicamente ma anche, e soprattutto, mentalmente. Mi ha educato alla disciplina, al rispetto senza compromessi, all’importanza della qualità della materia prima. Soprattutto, in funzione del rispetto per gli ospiti, che decidono di affrontare il traffico di una città e di affidarsi alla cucina di un ristorante. Cosa affatto scontata. Oltre alla Pergola, sono state per me significative le esperienze vissute in Francia con Jöel Robuchon e con Alain Ducasse. Seppur non abbia lavorato con loro personalmente ma solo indirettamente, sono state due scuole eccellenti e formative. Così come anche l’esperienza con Alex Atala a San Paolo, in Brasile. Ultimo, ma non meno importante, ho il piacere di citare Gateano Costa, Executive Chef a Roma, prima dell’Hotel Majestic e poi dell’Aleph. Io sono stato il suo secondo e li, grazie a lui, ho completato la mia formazione per quanto riguarda la gestione del mondo dell’hotellerie, che racchiude una sua complessità. A lui devo gli insegnamenti che mi hanno portato poi a diventare Executive.
Quest’anno è diventato Executive Chef del Ristorante Bambaissa e dell’intera offerta F&B dell’Augustus Beach Club di Forte dei Marmi. Che ruolo ricopre la contaminazione nella sua proposta culinaria, in un luogo, da sempre, legato alla tradizione?
A Forte dei Marmi sono presenti ben cinque ristoranti stellati. Ad eccezione di uno, che offre una proposta culinaria più tradizionale, i restanti quattro sono moderni e con un elevato grado di concettualità. Poi ovviamente, c’è tutta la parte legata alla ristorazione dei bagni, classica e ben più tradizionale. Qui, all’Augustus, ho trovato un’azienda che ha voglia di stare al passo con i tempi, di avere ed offrire una ristorazione moderna e concettuale, ma senza esagerare. Attenta alla grande tradizione classica mediterranea italiana. E tutto ciò identifica perfettamente quella che è la mia cucina, attualizzata, concettualizzata, secondo i criteri della cucina moderna e caratterizzata da un’attenzione particolare al prodotto, alle materie prime, sempre ben riconoscibili all’interno del piatto. Una cucina che subisce anche, spesso, una certa influenza derivante dalla cucina francese. Potrei dire che la mia sia una cucina di forte impronta italiana e mediterranea, resa moderna, e che guarda alla tradizione francese, che serve ad esaltare ancora di più il tutto.
Quali sono i focus e gli elementi principali, gli ingredienti primari, sui quali si è concentrato per la costruzione dei menù proposti?
Ogni 15 giorni cambiamo il menu. Non c’è un elemento che prediligo. Ogni elemento è interessante ed affascinante e lo lavoro con lo stesso entusiasmo. Dipende dall’idea di offrire un ventaglio di scelte diversificate. Che non vuoldire fare tanti piatti, bensì identificare per ogni patto un tipo di possibilità e di gusto unico e diverso. Ideare un menu che non sia uguale di piatto in piatto. Che possa incontrare più gusti ed aspettative diverse, pur mantenendo una coerenza. Certamente ci sono dei piatti tipicamente italiani che mi interessano sul piano tecnico, come ad esempio le paste ripiene. Non ho quindi una settorialità nelle mie scelte. Parto da un’idea e poi la sviluppo nella direzione.
La ricciola alla marinara con cipolle di Tropea croccanti o le crêpes Alaska alla lampada, sono solo alcune delle innumerevoli proposte che offre la sua cucina. Ci sveli maggiori dettagli inerenti alle offerte e alle novità del suo percorso gustativo.
Abbiamo un piatto, che ora è uscito dalla carta, molto concettuale ed interessante, dal nome “Monti e Mari”, dovuto al fatto che a Forte dei Marmi abbiamo la fortuna di avere il mare davanti e e le meravigliose alpi apuane dietro. Questo piatto vuole mostrare la diversificazione di colori, gusti e profumi del territorio. Che si fondono tra loro. Inoltre, in carta, troviamo i piatti cosiddetti “signature”, che rappresentano la mia personalità. Come, ad esempio, il negativo di amatriciana: una pasta ripiena con un ripieno liquido, ovvero la salsa tipica romana, diventata liquida all’interno di un raviolo. Esternamente, una salsa al pecorino ed una salsa amatriciana che diventano, insieme, un fatto visivo ed olfattivo. In aggiunta poi al guanciale, che viene trasformato in un crumble leofilizzato. Dunque, quando si assapora il raviolo, si percepisce come un’esplosione, oltre ad una massima esaltazione della salsa. Si ha poi l’impressione di mangiare una pasta corta e non ripiena. Un altro piatto, del quale siamo molto contenti e che ha riscontrato successo, è l’aragosta in cacciucco. Il cacciucco viene cucinato in maniera tradizionale, successivamente frullato e fatto diventare una salsa di densità media. L’aragosta viene invece cotta a bassa temperatura e saltata nel burro assieme al rosmarino (e qui rientra la contaminazione della cucina francese), mentre il cacciucco diventa una gustosa salsa rossa, sopra la quale si appoggia la profumata aragosta.
Ogni luogo, ogni regione, ogni città italiana offre specialità del territorio e proposte di cibo diverse le une dalle altre. Che valore dà alla relazione e al fil rouge che lega il territorio ad ogni singolo piatto?
Il valore della tradizione è alla base di qualunque mio piatto. Anche il più concettuale, parte sempre dal pensiero di un piatto della tradizione. Ad esempio, il “monti e mari”, parte da una pasta della tradizione italiana per poi evolversi in qualcosa di diverso. Come anche il negativo di amatriciana o il risotto con gli asparagi e il gambero, che noi trasformiamo in un risotto cotto non nel brodo ma in una vellutata di asparagi. Una cottura più lenta poiché cuociamo il riso nella vellutata. Il riso diventa poi verde ed il gambero, invece, si trasforma e diventa in un carpaccio sferico, che viene poi spennellato con una salsa al lemongrass. Dunque, anche questo è un piatto concettuale e moderno ma che parte sempre dalla tradizione culinaria italiana.
La cucina è una forma di arte e di maestria. Possiamo dire essere il frutto di una grande creatività ed essere fatta di emozioni. Quanto contano questi elementi, in cucina ma anche nella vita, per lei?
Contano tutto. Se non mi emozionassi non potrei fare questo mestiere. Senza emozione non si può assolutamente fare nessun tipo di lavoro. Sembra strano, magari, per un lavoro come quello del cuoco. In realtà, qualsiasi lavoro che preveda un aspetto di pensiero applicato e di creatività, necessita di una certa dose di emozione e, soprattutto, di condivisione dell’emozione. Altrimenti nulla funzionerebbe.