Oggi abbiamo il piacere di fare due chiacchiere con Dan Payne, protagonista del nuovo lungometraggio in uscita Corrective Measures al fianco di Bruce Willis e Michael Rooker , su Tubi per Fox, dal 29 aprile. Nato a Victoria, Canada, ha successivamente vissuto uno stile di vita un nomade a seguito di frequenti traslochi con la sua famiglia, Dan Payne sembra aver vissuto molte vite e carriere diverse, che gli hanno portato grandi soddisfazioni: ex giocatore di pallavolo e allenatore, fotografo, sceneggiatore e uno degli attori più interessanti di Hollywood. Ha recitato, solo per citarne alcune, in produzioni come Supernatural, Battlestar Galactica, Smallville, Underworld: Awakening, Cabin in the Woods (Drew Goddard), No Clue (Carl Bessai), John Tucker Must Die (Betty Thomas), Watchmen (Zack Snyder), World of Warcraft (Duncan Jones), così come il film indie acclamato dalla critica Mulligans. Ma l’impegno di questo ex atleta professionista è anche focalizzato sull’essere un grande sostenitore della mental health. Un tema molto importante, che sta molto a cuore all’attore, il quale finalmente si trova ora in un momento dove si sente di parlare del proprio percorso personale al fine di destigmatizzare la conversazione sui problemi di salute mentale.
Parliamo di Corrective Measures, il nuovo film diretto da Sean Patrick O’Reilly e basato sulla graphic novel di Grant Chastain. Ambientato nel penitenziario di massima sicurezza più pericoloso del mondo, il film racconta una storia di tensioni tra detenuti e guardie. Puoi dirci di più sul tuo personaggio Payback?
Arthur Locke, noto come Payback, è un ex militare che si trasforma in vigilante in questo luogo dove tutti hanno superpoteri o mutazioni causate da radiazioni. Nel mio caso è capitato di ottenere superpoteri, ma anche ad alcuni uomini cattivi, e questi criminali utilizzati quei poteri per “non così buono”. Un giorno alcuni di loro mi hanno fatto qualcosa che mi ha portato a intraprendere un percorso di vendetta, ma mi fermerò qui perché non voglio rovinare troppo. Quindi sì, superpoteri e un penitenziario pieno di cattivi… le cose si incasinano. Mi piace molto il percorso di Payback; passa dall’essere un ex militare e padre di famiglia a un vigilante cazzuto. Ho sempre voluto essere un duro e questa è stata la mia occasione. C’è anche una sorta di analisi introspettiva su di lui che è interessante, riguarda il suo codice morale più di ogni altra cosa, anche perché finire in quella prigione potrebbe far parte di un piano.
Nel film interpreti un ruolo importante, a fianco di Bruce Willis e Michael Rooker, in una produzione che è anche una delle ultime occasioni di condividere la scena con Bruce Willis. Come è stato lavorare al loro fianco?
Onestamente già fin dall’inizio apprendere che stavo per essere in un film con Bruce e Michael era già abbastanza strabiliante. Bruce Willis è una leggenda assoluta, un’icona di Hollywood, e sapere che avrei avuto la possibilità di lavorare con lui prima che se ne andasse era incredibile. Solo questo era già un onore e un privilegio, ho dovuto pizzicarmi non poche volte, ma vedere in seguito che questo film sarà uno dei suoi ultimi… Credo di non essermi ancora reso pienamente conto di quanto questa sia stata un’opportunità. Entrambi sono professionisti assoluti, hanno una presenza incredibile ed è stato molto bello lavorare con loro e imparare da loro allo stesso tempo. Che regalo! Ho avuto la possibilità di lavorare con molti grandi attori, in diverse fasi della loro carriera, e imparare da loro come essere meglio nel il mio mestiere. C’è sempre qualcosa da imparare e questa volta è stato abbastanza enorme. E voglio anche spezzare una lancia in favore di Sean Patrick O’Reilly, che è stato uno dei registi più collaborativi e cool con cui ho lavorato. L’energia sul set va sempre dall’alto verso il basso e lui era super easy e voleva che tutti noi avessimo successo. Aveva una visione molto chiara, ma se gli portavi qualcosa che sentiva avrebbe migliorato quella visione, era del tutto a favore, il che è abbastanza figo. Si è divertito sul set mentre sanguinavamo e ci picchiavamo a vicenda.
La tua carriera di attore è molto solida, ma non è l’unica che hai avuto nella tua vita. Sei un ex atleta professionista di Pallavolo, hai giocato anche in Europa per anni, e allenatore in campi di pallavolo per i bambini con esigenze speciali. Che cosa ti ha spinto a cambiare lo sport per la recitazione? E come essere un ex atleta professionista ha impattato la tua vita attuale?
Beh, ho cambiato perché il mio corpo ha detto “ok, abbiamo finito”. Con la recitazione ognuno ha un viaggio diverso per arrivarci. Non sono mai stato il giocatore di pallavolo super dotato che poteva semplicemente presentarsi ed essere incredibile. Ho dovuto essere il ragazzo che si è presenta per primo e se ne va un’ora dopo la fine degli allenamenti e deve lavorare molto per tenere il suo posto. Queste sono lezioni incredibili che ho imparato. Ero quello che lavorava sodo, ed ero felice di farlo, ma questo ha bruciato il mio sistema molto più velocemente. Ma non mi pento di nulla: le lezioni apprese, l’atteggiamento professionale, l’etica del lavoro per fare quello che serve per guadagnare qualcosa, tutto mi ha dato una visione diversa su ciò che serve per il successo rispetto a quei ragazzi che si sentono in diritto ad averlo senza sforzi. Ho preso tutte quelle lezioni e ho tradotto il meglio che potevo nella recitazione e penso che molte di loro abbiano dato i loro frutti. Come l’essere un buon compagno di squadra, come capire il tuo ruolo e come portare il meglio delle tue capacità per raggiungere il successo complessivo. A volte devi capire quali sono le tue risorse, cosa porti in una squadra, e non costringerti a ricoprire un ruolo che non è tuo. Io sono mancino e ho potevo saltare fuori dalla palestra nei miei giorni migliori e queste erano enormi risorse e, anche se il mio ruolo non era il ruolo principale, era importante per la squadra. Mi ha insegnato una sorta di etica che posso applicare in molti altri campi della mia vita. La traduzione è che non importa se sei un ruolo secondario, il ruolo principale, la star dello spettacolo, un attore veterano o un nuovo attore, sei lì per un motivo e per fare il tuo lavoro. Tutti su un set hanno la loro importanza, anche il ragazzo che cambia la spazzatura. Tutti fanno qualcosa per rendere il film migliore ed è questa la cosa bella di essere una squadra.
Hai vissuto una sorta di vita nomade, a seguito di frequenti spostamenti con la tua famiglia. Sei stato in Olanda, Australia, Canada e Londra. Quali sono le tue cose preferite di tutte le diverse città in cui hai vissuto? E qual è il posto dove ti senti veramente a casa?
Beh, il viaggio è fantastico per ottenere un riflesso di sé in diverse culture e persone diverse. Ogni volta che mi trovo a mio agio da qualche parte, e ho una routine e un gruppo di amici, c’è una familiarità che porta conforto ed è meraviglioso, ma anche non mi tiene sulle spine. Non devo assorbire consapevolmente ciò che accade in una situazione o in un ambiente. Nei miei spostamenti, a contatto con le diverse culture e aree del mondo in cui ho avuto modo di andare, ho dovuto imparare a essere presente perché ciò che è accettabile per me non può essere accettabile lì e ho bisogno di avere consapevolezza di questo. Sono nel loro mondo e voglio essere rispettoso. È bello vedere come la mia educazione e da dove vengo può adattarsi o meno ad altre culture nel mondo. Anche a Londra o in Australia, dove c’è un’atmosfera a me abbastanza familiare, ci sono strutture diverse e ciò mi piace, anche solo per la consapevolezza di sé che si acquisisce e per osservare le persone. Penso che faccia parte del mio lavoro. Ora mi sento più a casa ovunque sia la mia famiglia. Questa è stata estremamente importante per me crescendo, mia madre e mio padre erano fantastici e con mio fratello e mia sorella siamo ancora migliori amici, il che è abbastanza cool. Quindi, sì, casa per me è dove si trova la mia famiglia.
Nonostante tu abbia una carriera di successo, sei stato molto sincero sulle difficoltà dei primi anni nel mondo della recitazione e su quanto possa essere difficile a volte. Dove hai trovato la motivazione per non mollare? E qual è la tua principale fonte di motivazione ora?
Attribuisco molto del merito allo sport e al mio background atletico. Non appena ho deciso che quello era il sogno che volevo realizzare, ho imparato che devi spingere te stesso in modo incrementale. Non puoi sollevare 100 kg il primo giorno in palestra, è un processo. Ho imparato che è necessario mettere degli obiettivi lungo la strada e celebrare ogni piccolo successo per tenersi motivati a continuare ed è così che mi sono approcciato alla recitazione. Ho fatto le mie ricerche per capire quali sarebbero stati gli obiettivi stabiliti in modo incrementale che mi avrebbero tenuto motivato mentre attraversavo questo percorso e continuare a sentirmi di successo, perché è importante. Se il mio obiettivo fosse stato solo quello di essere il protagonista di un film, e non avessi ottenuto alcun ruolo, allora mi sarei sentito un fallimento, ma se il mio obiettivo è quello di essere il protagonista di un film, ma la prima fase è per esempio ottenere un agente, questo piccolo traguardo mi farebbe sentire di aver compiuto il “passo uno del mio viaggio “, per poi concentrarmi sul passo numero due. Ancora una volta, come nello sport, si tratta di lavorare duro e in modo intelligente per arrivare alla fine. Io e mio fratello siamo abituati a dire “alzati una volta in più di quanto si vieni abbattuto e avrai successo”.
Maggio è il mese della consapevolezza sulla salute mentale. Nonostante il mantenimento di un forte regime di fitness e di salute, sei anche un grande sostenitore della Mental Health; un tema che ti tocca fortemente per la tua esperienza di lotta con la depressione. Quanto è importante normalizzare questo tipo di conversazione e de stigmatizzare i problemi di salute mentale? E cosa ti ha aiutato, e ti sta ancora aiutando, nel tuo viaggio?
Ho tenuto taciuto e nascosto questo problema per molto tempo a causa dello stigma ad esso collegato e perché mi si riterrebbe “rotto” o indegno; ma anche perché ammetterlo avrebbe reso tutto vero. Per un gran numero di anni, il modo in cui l’ho affrontato è stato mettere un sorriso all’esterno, mentre l’interno era in uno stato molto più buio. Finché nessuno lo sapeva sentivo che stavo vincendo, è un modo strano di vederla ma sentivo che finché potevo impedire a tutti di sapere quello che stavo attraversando avevo valore. Nessuno vuole un giocattolo rotto. Quindi quella era la maschera che mi sono messo ed era estenuante, non è un bel modo per affrontare la cosa. So che alcune persone affrontano questo tipo di problemi attraverso diversi elementi di sabotaggio, come bere o la droga, e questo è un meccanismo di difesa perché c’è uno stigma legato ai problemi di salute mentale e si sente che non ci è permesso di non essere ok. Sono arrivato ad un punto piuttosto buio dove la scelta era di non esserci più o di fare un cambiamento e quel momento di realizzazione è stato così potente che, ad essere onesti, mi ha spaventato a morte. In quel momento i miei due bambini sono stati la chiamata più forte alla scelta di fare un cambiamento. Dopo di che, dirlo ad alta voce e dare alla depressione un nome, è stato un modo davvero per toglierle potere. Mia moglie è stata la prima persona a cui l’ho detto, ed è stata incredibile; lei è la parte più importante del mio sistema di supporto. Raccontandole del mostro, l’ho reso più piccolo e meno potente e, se prima era lui che stava “guidando il bus”, dopo ho potuto iniziare a riprendere il controllo e “guidare il bus”. È stato anche utile per rivelare molte cose che non ho gestito molto bene quando ero più giovane, come quando avevo 22 anni e sono stato coinvolto in un’esplosione che mi ha mandato in ospedale con ossa rotte e bruciature dappertutto. In un momento in cui tutto sembrava riguardare il tuo aspetto e ciò che sei in grado di fare, non ho affrontato bene tutto questo perché il mio pensiero era “ho solo bisogno di tornare alla pallavolo” e tornare a quegli elementi esterni che mi davano valore. Così ho applicato la forza di volontà e la mentalità dell’atleta per migliorare fisicamente, ma ho completamente negato ogni aspetto del migliorare mentalmente. Il lavoro che sto facendo ora con il mio terapista ha rivelato che c’è un enorme elemento di disturbo da stress post-traumatico in tutto ciò a causa di non aver affrontato questo evento traumatico perché volevo solo tornare ad essere valido e degno in qualche modo.
Penso che la cosa più importante, per ricominciare, è darsi la possibilità di trovare qualcuno che amiamo e che si preoccupa per noi, e dire loro che si ha bisogno di aiuto e che non siamo ok; scoprirete molto rapidamente quanto non siamo in realtà soli. Se non avessi imparato a guardare dentro di me, con qualcuno che può aiutarmi, non sarei stato in grado di riconoscere gli schemi negativi in cui mi trovavo e capire che questo mi stava facendo del male e mi stava esaurendo. Non essere soli non rende il viaggio più facile, ma ti fornisce il supporto necessario a continuare a combattere e andare avanti in questo percorso. Sono entrato in una curva di apprendimento incredibile e sono grato di essere qui facendo questo lavoro su me stesso. Sto imparando a scoprire da chi ho bisogno di aiuto allo stesso modo di quando ero un atleta e avevo allenatori e compagni di squadra per aiutarmi. La vita può essere difficile, ma ha bei momenti e belle persone, ma si deve chiedere per averle e si deve sapere che è ok chiedere aiuto.
Vorrei ringraziare Dan Payne per quella che si è rivelata, più che un’intervista, una bella chiaccherata. Grazie!
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English Version:
Today we have the pleasure to have a chat with Dan Payne, who stars in the upcoming new feature movie Corrective Measures opposite Bruce Willis and Michael Rooker for Fox’s Tubi, which has premiered on April 29th. Born in Victoria, Canada, and subsequently lived a somewhat nomadic lifestyle as a result of frequent moves with his family, Dan Payne looks like to have lived many different lives and careers, which all brought great satisfactions: he is a former Volleyball pro player and coach, a photographer, a screenplay writer and one of the most interesting actor in Hollywood. He starred, just to name a few, in productions such as Supernatural, Battlestar Galactica, Smallville, Underworld: Awakening, Cabin in the Woods (Drew Goddard), No Clue (Carl Bessai), John Tucker Must Die (Betty Thomas), Watchmen (Zack Snyder), World of Warcraft (Duncan Jones), as well as the critically acclaimed indie film Mulligans. But the commitment of this former pro athlete is also focused on being a tremendous advocate for mental health. A very important theme, which is very dear to the actor, who is finally now in a place where he’s open to speak about his own personal journey in order to destigmatize the conversation about mental health issues.
Let’s speak about Corrective Measures, the new moviedirected by Sean Patrick O’Reilly and based on Grant Chastain’s graphic novel. Set in the world’s most dangerous maximum security penitentiary, the movie tells a story of tensions between inmates and guards. Could you tell us more about your character Payback?
Arthur Locke, known as Payback, is an ex-military man turned vigilante in this place where everyone has either superpowers or mutations from being irradiate with radiations that could change or kill them. I happened to get superpowers, but so did some bad men too, and those criminals used those powers for “not so good”. One day some of them did something to me that caused me to go on a revenge path, but I will stop here because I don’t want to spoiler too much. So yes, superpowers and a penitentiary full of bad guys… things get pretty messy. I love Payback’s journey; he got from being an ex-military and kind of a family man to a vigilante badass. I always wanted to be a badass and here was my chance. There is a sort of an introspective analysis too about him which is interesting, it is about his moral code more than anything else, also because ending up in that prison may be part of a plan.
In the movie you play a major role, opposite to Bruce Willis and Michael Rooker, in a movie that is also one of the last occasions to be able to share the scene with Bruce Willis. How was to work alongside them?
Honestly just to know that I was going to be in a movie with guys like Bruce and Michael was already pretty mind blowing. Bruce Willis is an absolute legend, an icon in Hollywood, and knowing that I was going to have a chance to work with him before he stepped away was incredible. At the time it was already an honour and a privilege, I had to pinch myself a few times, but seeing afterwards that this movie will be one of his lasts… I think I am still gathering myself as to recognising how much of an opportunity that was. Both of those guys are absolute professionals, they have massive presence and it was very nice to work with them and learning from them at the same time. What a gift! I have had the chance to work with many great actors, at different stages of their career, and learn from them how to be better with my craft. There is always something to learn and this time it was pretty huge. And I want to throw a shout out to Sean Patrick O’ Reilly, he was one of the most collaborative and cool directors I have worked with. The energy on the set always goes from the top down and he was an absolute easy going champion who wanted us all to thrive. He had a very clear vision, but if you brought him something that he felt would enhanced that vision, he was all for it, which it is pretty cool. He just made a lot of fun on set while we were bleeding and beating each other up.
Your career in acting is very solid, but it is not the only one you had in your life. You are a former Pro Volleyball player that also played in Europe for years and also included coaching volleyball camps for special needs children. What made you change the sport for the acting? And how being a former pro athlete impact in your current life?
Well, I switched because my body said “ok, you’re done”. With the acting everyone has a different journey to get there. I was never the super gifted volley player that could just show up and being incredible. I had to be the guy who showed up first and left an hour after and work hard to hold on my spot. Those are incredible lessons that I have learnt. I was the guy that worked hard, and I was happy to do so, but that burned out my system a lot quicker. But I do not regret a single thing, the lessons learned, the professional attitude, the work ethic, to do what it takes to earn something, gave me a different outlook about what it takes for success compared to those guys who feel entitled to it. I took all those lessons and I translated them the best I could into acting and I think that a lot of them really carried over. Like how to be a teammate, how to work on a team, understanding your role and how to bring the best of your abilities to reach the overall success. Sometime you have to realise what your assets are, what you bring into a team, and don’t force yourself into a role that isn’t yours to fill. I am left handed and I could jump out of the gym back in the days and those where huge assets and, even if my role wasn’t the main role, it was important for the team. It taught me a sort of ethic that I can totally apply in many other fields in my life. The translation for acting was that it doesn’t matter if you’re an acting role, the lead role, the star of the show, a veteran actor or a new actor, you’re there for a reason and to do your job. Everybody on a set has his importance, even the guy who change the garbage. Everyone does something to make the movie better and that’s the cool thing about a team.
You had lived a sort of nomadic lifestyle as a result of frequent moves with your family. You have lived in Netherlands, Australia, Canada and London. What are your favourite things of all the different cities where you lived? And which one is the place where you truly feel at home?
Well, the travelling was great to get a reflection of self in different cultures with different people. Whenever I get comfortable somewhere, and I have a routine and a group of friends and familiarity, that brings comfort and it is wonderful but also it doesn’t keep me on my toes. I don’t have consciously to be absorbing what is going on in a situation or in an environment. In a lot of the moving and a lot of the different cultures and areas in the world where I got to go, I had to learn how to be present because in some different cultures whatever is acceptable for me may not be acceptable there and I need to conscious of that. I am in their world and I want to be respectful. It is cool to see how my upbringing and where I was from may fit or not fit in other cultures in the world. Even in London or in Australia, which there a pretty similar vibe, there are still different cultures and different structures and I love that just for self-awareness and I love people watching, like observing people. I think it’s part of my job. Now I feel most at home now wherever my family is. Family was extremely important to me growing up, my mum and dad were amazing and with my brother and sister we’re still best friend through all this time, which is pretty cool. So, yeah home for me is where my family is.
Despite the fact that you have a successful career, you have been very candid about the difficulties of the firsts years in the acting business and how difficult this world can be sometimes. Where did you find the motivation to don’t give up? And what is your major source of motivation now?
I give a lot of credit to the sport and the athletic background. As soon as I decided that that was the dream which I wanted to achieve, I’ve learnt that you need to push yourself incrementally. You cannot lift 200 pounds the first day in the gym, it is a process. I learnt that you need to put goals along the way and celebrate every little success to keep you motivated to keep on going and that is how I approached acting. I did my due diligence to find out what would be the incrementally set goals that would keep me motivated as I went through this journey and continue to feel successful, because that’s important. If my goal was to only ever be the lead in a movie, and I wasn’t getting any big roles, then I would feel like a failure, but if my goal is to be the lead in a movie but the first stage is just to get hired, or get an agent, these milestones would make me feel accomplished as “yes, step one of my journey “and after I would go for step two. Again, like in sport, it was all about working as hard and smart as you possibly can to get to the next goal and you’ll get there eventually. My brother and I are used to say “get up one more time than you get knocked down and you will be successful”.
May is Mental Health Awareness Month. Despite maintaining a strong fitness and health regimen, you are also a tremendous advocate for mental health; a theme that strongly touches you for your experience of struggle with depression. How important is to normalise this type of conversation and destigmatize mental health issues? And what helped, and is still helping you, in your journey?
Well, I kept it quiet and hidden for a long time because of the stigma attached to it and because it would deem myself a broken or unworthy and also to admit that would make it all true. For a great number of years, the way I coped with it was putting a laugh and a smile on the outside, while the inside was in a darker state. As long as nobody knew it, I felt that I was winning; it is a weird way to look at it but I felt that as long as I could keep everyone from knowing I had value, because nobody wants a broken toy. So that was the mask that I was putting on and it was exhausting, it’s not a great way to cope. I know that some people cope by going through different sabotage elements, like drink or drug, and that is a coping mechanism because there is a stigma attached to mental health issues and you feel that you are not allowed to be not ok. I got to a pretty dark spot where the choice was not to be around anymore or to make a change and that moment of realisation was so powerful that, to be honest, it scared the shit out of me. In that moment my two boys were the strongest calling for me to come back to the choice of making a change. After that, saying out loud and giving it name, was a really cool way to take its power away. My wife was the first person I told it, and she was incredible about it, and she’s been the greatest part of my support system. Telling her about the monster, made the monster way smaller and less powerful and, if before it was him who was “driving the bus”, after that I could start taking control and “driving the bus”. And it was helping to reveal a bunch of things that I didn’t manage very well when I was younger, like when I was 22 I’ve been in an explosion that sent me to the hospital with broken bones and burns all over, in an age when everything seems to be about how you look like and what you’re able to do. I did not deal well with all of it because my thought was “I just need to get back to volleyball”, and get back to those externals that gave me value, so I applied the willpower and the athlete’s mentality to get better physically, but I completely denied every aspect of getting better mentally. The work I’m doing now with my therapist revealed that there is a huge element of post-traumatic stress disorder there for not dealing with this traumatic event because I just wanted to come back to be valid and worthy in some way.
I think the most important thing, to start over, is take the chance to find someone that you love and that cares about you, and tell them that you need help and that you are not ok and you will find out very quickly than you are not alone. If I didn’t learn how to looking inside myself, with someone who can help me, I wouldn’t be able to recognise the negative patterns I was into and understand that that was beating me up and exhausting me. Not being alone doesn’t make the journey easier, but it provides you the support to keep fighting and going on on this journey. I got into an incredible learning curve and I am grateful to be on it doing the work. I am now learning to find out who I need to get help from in the same way when I was a volleyball player and I had coaches and teammates to help me out. Life can be difficult, but it has beautiful moments and people and it is great to find those things but you have to ask for them and you have to know that is ok to ask for help.
I would love to thank Dan Payne for what turned out to be a beautiful conversation, more than an interview.
It was an honour and a priviledge, thank you so much!