La musica oltre i confini di genere, barriere stereotipate ed etichette pregiudizievoli che sono, troppo spesso, il frutto di preconcetti e cartine geografiche. La cantautrice italo-palestinese Laila Al Habash, dopo l’Ep “Moquette” che in copertina presenta l’immagine dell’icona Raffaella Carrà velata da una mascherina disco strass, e il debutto con l’album “Mystic Motel”, racconta il suo mondo autoriale in cui l’aspetto compositivo si fonde all’intensità dei testi che meglio esprimono se stessa. In modo sincero e limpido, le sue emozioni scivolano tra le pagine della vita vera per arrivare a chi sa coglierne il significato ascoltandole. Scrivere è quasi una catarsi, un processo introspettivo che la trasporta in un universo indie-pop e rap grazie alla sinergia con Stabber, Niccolò Contessa de “I Cani” e Coez, suoi amici e compagni di avventure musicali in un gioco di squadra fatto di poetiche suggestioni e sperimentazioni sonore. E l’artista, scelta in qualità di Ambassador per la campagna “Equals” di Spotify, è alla continua ricerca di quel qualcosa in più che scotti e bruci l’anima. Dagli stati emotivi dolorosi agli attimi di gioia, in un vortice di suoni trasparenti che la rendono libera manifestando la sua essenza, e ciò che prova realmente, attraverso i suoi pezzi. Le “cantanti donne”? In futuro, si augura, non ci sarà più bisogno di farsi portavoce di un messaggio per rappresentare quella che, attualmente, è considerata una minoranza che a fatica riesce ad emergere nel panorama dell’industria discografica. Al Habash, su Instagram @LailaAlabastro, è stata selezionata da Zalando insieme a Marianna Mammone, alias BigMama, e Livio Cori per interpretare la famosa “Nessuno mi può giudicare/Se lo dici tu” cantata nel 1966 da Caterina Caselli in occasione del Festival di Sanremo. Mescolando moda e pentagramma, la piattaforma europea online, leader nell’ambito del fashion e lifestyle, ha deciso di farli esprimere fra le vie delle loro città, che si sono tramutate in un palcoscenico a cielo aperto. Se Cori ha preferito la sua Napoli e BigMama, invece, ha optato per Milano, Laila ha voluto fortemente la scenografia di Roma nella propria versione della canzone poiché la Capitale è «un ibrido anni ‘70 con una grande influenza R&B, rap, Hip Hop, e di tutta la cultura underground» . “Le strade sono il nostro palco” è il claim del progetto streetwear “Voce allo stile” e le performance sono visibili scansionando il QR Code situato in basso a destra su tutte le affissioni. Inoltre, Zalando ha chiesto a Tvboy, noto come il “Banksy italiano”, di realizzare un murale con protagonisti i tre giovani talenti, stilizzati in base al gusto personale. «La collaborazione è nata da una condivisione di valori e una visione comune. L’idea per lo Zalando Street Festival è stata quella di raffigurare la nuova generazione dei musicisti made in Italy in un unico artwork, comunicando l’importanza di dare spazio agli emergenti», chiosa l’autore dell’opera esposta in piazza XIV Maggio nel capoluogo lombardo.
La musica è un linguaggio libero e polisemantico. I tuoi brani spaziano dall’indie-pop al rap: due generi che si incontrano o, a volte, si scontrano?
«Come in tutte le cose, è importante l’equilibrio degli ingredienti, quindi, in un certo senso, non vedo alcun bivio».
Nella tua carriera non sono mancate figure di spicco del panorama musicale, come Stabber e Niccolò Contessa de “I Cani”, ma anche Coez. Quanto hanno influenzato il tuo percorso artistico, autoriale e la scrittura?
«Ho lavorato con Niccolò Contessa e Stabber, che sono i miei producer. Poi c’è Coez, ed è stato un onore averlo nel mio disco per un feat. Sicuramente, sono figure che mi hanno influenzato molto, insegnandomi parecchio. Prima di tutto perché con loro c’è un rapporto di amicizia, quindi lo scambio di idee e di pareri è fondamentale per la crescita personale di un artista. Durante la fase di scrittura, sono sempre concentrata nell’esprimere la versione migliore che posso di me stessa e di ciò che desidero comunicare. Tuttavia, i suggerimenti, poiché è un lavoro di squadra, in un team sono necessari. L’obiettivo comune è quello di far sì che venga fuori un prodotto il più fedele possibile a me e, dunque, alla mia personalità».
Il tuo primo Ep “Moquette” , a cui fa seguito l’album d’esordio “Mystic Motel” uscito per l’etichetta Undamento, presenta in copertina, ad opera di Caterina Adele Michi, un’immagine di Raffaella Carrà con il volto velato da una mascherina metallica. Ci spieghi il perché di questa scelta?
«Per la copertina di “Moquette” ho scelto di dare spazio all’arte di Caterina, che considero una bravissima illustratrice. È stata in grado di comprendere al meglio la mia passione per Raffaella Carrà, il suo stile e il suo carisma mi hanno sempre affascinato. Ha preferito raffigurarla in questo modo. Credo che, essendo una cover abbastanza composita, così variegata, in fin dei conti non mi dispiace l’idea che ognuno, guardandola, riesca a immaginare quello che vuole. Io, per esempio, ci vedo dei richiami alla disco music tramite l’utilizzo delle paillettes, nonché delle sfumature arabeggianti che evocano un po’ le mie origini».
Cosa vuoi comunicare e mettere in luce mediante i tuoi pezzi?
«Non c’è una risposta assoluta a questa domanda poiché, come tutti, vivo in un costante processo evolutivo, una sorta di ruota che gira continuamente. Ad oggi, mi sono dedicata principalmente a ciò che mi veniva spontaneo e dal profondo, tutte quelle cose in cui mi sentivo più preparata e che mi piaceva fare: trasmettere le mie emozioni, i miei sentimenti, ciò che provavo. Alcune persone hanno dalla loro l’arma della sensibilità che, tuttavia, agisce percorrendo due strade che si incontrano: sentire il bello e il brutto dei propri stati d’animo, quasi una catarsi emozionale ed emotiva, per poi rielaborarlo ed esprimerlo. Però, inizio a capire che sto cambiando, che ho altre esigenze e non significa che stravolgerò i temi affrontati nei miei brani. Con il tempo si vedrà. Mi interessa tanto, e lo ricerco in particolare pure nei pezzi che ascolto, qualcosa che scotti, che mi bruci. Potrebbe trattarsi di dolore o di atmosfere più gioiose: la musica è di pancia, appartiene alla sfera intima di ciascuno di noi. Una canzone può parlare a te, ma a me può non dire niente. Innanzitutto, cerco tutto ciò che possa smuovermi per comunicare in maniera chiara. Sono del parere che il primo passo per trasferire sensazioni agli altri sia riuscire ad interpretare ciò che mi tocca fortemente».
Hai ricoperto il ruolo di Ambassador per la campagna Equals di Spotify, un progetto che ha lo scopo di promuovere l’eguaglianza di genere e dare maggiore visibilità al lavoro dei musicisti. Raccontaci di più.
«Quando mi hanno comunicato che sarei diventata Ambassador di Spotify Equals, ero davvero contenta. Però, ed è insito nella finalità di questa playlist musicale, mi auguro che in futuro, nel mondo perfetto che prima o poi riusciremo a costruire, non ci sarà più bisogno di iniziative sull’argomento. Naturalmente, è stato un piacere far parte di un progetto che ha consentito di veicolare un messaggio così importante e che ha avuto una grande eco mediatica: l’integrazione e l’uguaglianza nell’ambito dell’industria discografica. Spero, e sono convinta, che un giorno sarà tutto maggiormente ovvio e naturale, le cantautrici non avranno la necessità di una playlist per sentirsi rappresentate. Non si dovrà più dire “artista donna”, come se ci si trovasse di fronte ad una minoranza».