La voce della rivolta
La musica può caratterizzare per sempre un’intera epoca storica e un’intera cultura, farsi portavoce di sentimenti, stati d’animo e divenire espressione di un sentimento non solo individuale ma collettivo.
Quando l’animo umano viene represso, l’istinto porta con se un sentimento di ribellione, tale sentimento ha una voce che vuole emergere e quando diventa forte, si trasforma in musica e da forma a qualcosa che fino ad allora era invisibile.
Una musica forte, straziante, dura, che nasce da una voce e diventa corale. Nel corso della storia molti tipi di musica hanno accompagnato i moti di ribellione, dai cori della rivoluzione francese, ai canti partigiani.
Tuttavia quando si associa la musica alla protesta sociale non si può che iniziare parlando della musica black, dai canti di libertà intonati dagli schiavi al blues, passando poi al jazz e alla straordinaria stagione della musica soul.
La black music è a tutti gli effetti la musica dell’anima, una musica che racconta le sofferenze di chi ha affrontato le battaglie per i diritti civili, la lotta contro il razzismo, i soprusi e la violenza, le conquiste ottenute nel corso della storia. Lotta che ancora oggi si scontra con la dura realtà razzista e conservatrice.
Da quella sofferenza sono nate alcune delle opere più belle di sempre, come Black, Brown and Beige di Duke Ellington, che eleva il lavoro di Armstrong negli anni 20′, portando il jazz in un altra dimensione nella quale si ripercorre il cammino di emancipazione degli afroamericani.
Ma andiamo con ordine. Quello che lasciò la seconda guerra mondiale fu un’era di desolazione, distruzione e malinconia. Tutto era stato distrutto e anche i vincitori dovettero fare i conti con i danni subiti e i forti conflitti interni. La maggior parte riguardava le dispute razziali tra bianchi e neri.
Fu proprio in questo periodo di transizione che la comunità afro-americana iniziò a ribellarsi ai soprusi e a rivendicare i suoi diritti. Fu in quello scenario nacque la musica soul, grazie a Ray Charles con i suoi occhiali scuri e James Brown con i suoi passi.
Successivamente in un periodo in cui il soul si è affermato che fa la sua comparsa Aretha Franklin, che chiedeva rispetto per le donne e le persone di origine africana.
La musica soul era questo, la musica dell’anima, creatrice di comunità, del senso civico e portavoce della lotta per i diritti civili e la giustizia sociale.
Il blues si fa portavoce dei diritti di un’intera comunità in una società come quella americana a cavallo tra gli anni 50’ e 60’, che negava agli afroamericani anche i più piccoli diritti e la dignità. Furono le voci di grandi cantanti blues come “Ma” Rainey, Bessie Smith, Billie Holiday a dare voce a quelle sofferenze. Portavoci della comunità nera e iniziatrici dell’emancipazione femminile
Così come il blues anche il jazz ha avuto un ruolo nella lotta all’emancipazione dei diritti civili.
Non è necessario compiere gesti eclatanti, la rivoluzione fa rumore anche se parte dai piccoli gesti, lo aveva capito Duke Ellington, che si rifiutò sempre di suonare in luoghi con aree separate per neri e bianchi. Altri furono più diretti. Norman Granz, oltre a non separare la platea, staccò personalmente i cartelli che indicavano i bagni per i bianchi e quelli per i neri.
Martha Reeves and The Vandellas, Diana Ross e le sue Supremes, si trovarono ad affrontare i violenti anni 60’, a cavallo tra Martin Luther King e Malcolm X ,tuttavia sono anche gli ani della rivoluzione positiva con Sam Cooke che diventa il primo afroamericano nella storia ad aprire una propria etichetta discografica.
Max Roach grandissimo batterista,nel 60’ pubblicò We insist! Freedom now suite, legato agli eventi del il primo febbraio del 1960 a Greensboro, dove quattro ragazzi afroamericani furono allontanati da un locale, poiché il bancone era riservato ai bianchi. Restarono seduti, e tornarono il giorno dopo in venti, poi in sessanta, e cosi nei giorni a venire, finchè non furono imitati in tante altre città.
Negli anni 90’ post presidente Regan, il razzismo è alle stelle, la polizia brutale si fa forte della situazione critica dei ghetti delle comunità di colore, la droga, le armi, la mancanza di un’assistenza sanitaria e di tutela politica l’omicidio del sedicenne Yusef Hawkins e ai disordini di Virginia Beach del 1989. Tutto è allo sbando e a cantare questa realtà sarà Public Enemy una band hip hop, con Fear of a black planet.
Oggi nel 2021 purtroppo siamo ancora afflitti, paradossalmente, da vecchi stereotipi che si propongono in forme nuove, e a cantare questa amara situazione è il disco di Lamar creato con il movimento Black Lives Matter. In questo album Lamar ha introdotto più elementi della storia e della black music, jazz, hip hop, soul, gospel, funk, proprio a sottolineare, la resilienza di una cultura che, nonostante tutto non è sopravvissuta ma è vissuta, e ha fatto la storia.
This is america, di Childish Gambino, è un brano straziante, ma ancora di più lo è il videoclip di Hiro Murai, una denuncia poeticamente cruda della violenza della polizia.
Potrei scrivere un libro sull’influenza della musica black nella cultura popolare, non solo per la popolazione afroamericana, ma per il mondo. Sono centinaia i brani, gli album che negli anni, da quel decennio a oggi, hanno continuato a raccontare quello che è un doloroso pezzo di storia, che aimè porta una lunga scia dietro di se, ma lasciamo che sia quella voce a spiegarci quel pezzo di storia. Lasciamo che sia la musica ad unire tutte quelle voci e farci vibrare le corde del cuore attraverso la musica dell’anima, in questa playlist selezionata per voi.