Cristina Cappelli ha debuttato su Netflix nella serie Generazione 56K. L’attrice interpreta la protagonista Matilda, una giovane donna che deve fare i conti con tutte le scelte, le paure e le fragilità di una vita da costruire e vivere, finalmente. In un percorso intenso, dove l’amore e l’amicizia sono solidi pilastri, il suo personaggio trova un’apertura, uno spiraglio di luce dove poter essere semplicemente libera, libera di ascoltare se stessa, di accettare tutte quelle fragilità che non la rendono debole, ma forte e sincera, incredibilmente umana.
Cristina ha uno sguardo dolce che contiene un mondo da raccontare e scoprire, pian piano. Quando penso ad un modo per descriverla, penso alle parole della filosofa Martha Nussbaum che, durante un’intervista, ha parlato dell’importanza di essere persone fragili ed umane: «Essere un buon essere umano significa avere una sorta di apertura al mondo, una capacità di fidarsi di cose incerte al di fuori del proprio controllo. Ciò dice qualcosa di molto importante sulla condizione umana della vita etica: che si basa sulla fiducia nell’incerto e sulla disponibilità ad esporsi; si basa sull’essere più una pianta che un gioiello, qualcosa di piuttosto fragile, ma la cui particolarissima bellezza è inseparabile dalla sua fragilità».
Ecco, Cristina Cappelli mi piace immaginarla così: coraggiosamente e meravigliosamente vera.
Come stai vivendo questo momento di debutto su Netflix?
Sono giorni molto intensi e mi sento emozionata. L’adrenalina è tanta. Leggere i commenti ed i messaggi delle persone, che guardando la serie, regala tanta gioia. Questo momento è bellissimo, rappresenta una bella opportunità, per me, come attrice.
La tua Matilda è ricca di sfumature sorprendenti che la rendono vicina e simile a tutte noi. Cosa ti ha colpito, in particolare, di questa giovane donna?
I personaggi di Generazione 56K sono scritti tutti molto bene, sono così umani e pieni di sfumature. Mi sono innamorata di Matilda sin da subito. Nell’arco della storia, il mio personaggio cambia tantissimo ed era qualcosa che mi interessava raccontare. La sua condizione familiare la condiziona e vive dei cambiamenti continui, si trova di fronte a diversi ostacoli ed affronta una serie di sfide. Credo che sia così bello tutto ciò: quando la vedi, si mostra come una ragazza che sa cosa vuole, che è sicura di sé e sa dove vuole andare. Ma in realtà, nasconde una vulnerabilità di cui, inizialmente, ha paura e cerca di tenerla a bada. Eppure, improvvisamente, inizia a sfuggirle di mano. Così inizia, finalmente, ad ascoltare se stessa. Ad ognuno di noi accadono momenti del genere. Quei momenti in cui, per difesa, ti chiudi e non vuoi ascoltare quello che hai dentro. Matilda è stato un personaggio prezioso da poter interpretare.
Come hai costruito il personaggio prima di arrivare sul set?
Sono partita da un’analisi del testo. Matilda si mostra con tanti scudi e tante difese, volevo cercare di andare sempre più affondo. Come se fosse una cipolla, ho iniziato a toglierle i vari strati che possedeva per riuscire a capire quale fosse il suo motore, quali fossero le sue paure, le sue incertezze e cosa la spingesse a muoversi in un certo modo nella sua vita. Il mio personaggio è una restauratrice. Ho deciso di andare in una piccola bottega di restauro sotto casa. Ogni tanto, spiavo come i restauratori si muovevano all’interno della bottega, cercavo di capire che profumo ci fosse mentre tutti lavoravano. Ho cercato dei piccoli segreti che potessero ispirarmi, in qualche modo.
In un mondo che ci vuole sempre ‘perfetti’, quanto è stato importante raccontare, attraverso il tuo personaggio, dei momenti in cui, da essere umano, inciampi e sbagli?
Matilda vuole compiere ogni cosa giusta pur di non ferire gli altri e non deluderli. Alla fine, comprende che deve prima essere felice per poter amare veramente le persone e le cose che ha intorno. La trovo meravigliosa perché trova il coraggio di essere finalmente ciò che vuole essere, senza sentirsi più incastrata in una società che la vuole in un certo modo. Sai, ci pensavo quando ero sul set, il mio personaggio molla il fidanzato durante la serenata, compie una scelta difficile. Arriva ad una consapevolezza tale che sa che semmai dovesse fare quel passo, non potrà mai rendere felice l’altra persona e non potrà essere felice lei stessa. Si ritrova in un punto di non ritorno. Così, scopre le sue fragilità. Per me, è stato molto bello poter vedere come le fragilità, in realtà, possono diventare un punto di forza e semplicemente non dobbiamo spaventarci di averle. Tutte noi le abbiamo.
Anche il rapporto tra Matilda e suo padre è molto importante all’interno della narrazione ed è significativo proprio perché permette alla ragazza di compiere scelte diverse. Cosa ne pensi al riguardo?
C’è un bellissimo confronto tra il padre e Matilda in cui lui gli dice che aveva bisogno di essere felice ma per esserlo, ha abbandonato totalmente la sua famiglia ed ha sbagliato. Quella scena è molto importante perché suo padre le dice: “Tu non sbaglierai perché hai un cuore. Seguilo”.
Te lo ricordi il momento in cui hai saputo di essere la protagonista della serie?
Ricordo il giorno in cui ho saputo la notizia. Stavo camminando per strada ed ho iniziato a piangere. Ho subito chiamato mia madre. Il regista ed ideatore della serie, Francesco Ebbasta, mi ha affidato tra le mani qualcosa di suo ed è stato un regalo immenso che mi ha donato. Generazione 56K rappresenta qualcosa di così grande per il mio percorso.
Generazione 56K pone al centro i legami umani, riesce a dare uno sguardo importante alle persone che ti sono vicine, nella vita, anche quando gli anni passano. Come descriveresti il rapporto tra Matilda ed Ines e in che modo lo hai costruito insieme a Claudia Tranchese?
Sono stata fortunatissima perché con Claudia è nata un’amicizia meravigliosa. Sin da subito, abbiamo cercato di costruire una complicità tra di noi, fuori dal set. L’amicizia tra Matilda e Ines esiste sin da quando erano bambine. Il loro legame doveva risultare credibile. Matilda si fida ciecamente di Ines ed il loro rapporto è diverso da tutti gli altri. Sono stata fortunata: ho avuto una compagna di viaggio meravigliosa come Claudia. Ci siamo fidate l’una dell’altra, immediatamente. E tutto questo ci ha aiutato tanto per creare il loro rapporto. Le amicizie, all’interno della serie, sono raccontate in modo molto realistico. Tutti noi, nella vita, abbiamo un’amica come Ines che reputiamo al pari di una sorella.
Anche tu, come la protagonista, hai un’amica che consideri una sorella?
Sì, assolutamente. Sono cresciuta con la mia miglior amica. Ci siamo conosciute quando avevamo entrambe sei anni. Da quel momento in poi, fino all’ultimo anno di liceo, siamo state sedute l’una accanto all’altra, allo stesso banco. Per me, lei è parte della mia famiglia, una delle persone che mi conosce meglio al mondo. In Ines e Matilda, ho rivisto il rapporto che vivo con la mia miglior amica. Legami del genere diventano parte di te. La tua migliore amica diventa la tua estensione.
Quale credi che sia il segreto di una storia del genere?
Il modo in cui raccontiamo i legami umani. L’amore, l’amicizia, la famiglia sono tematiche importanti che vengono trattate, in Generazione 56K, in maniera così delicata e dolce. La storia ti cattura perché la semplicità arriva sempre alle persone. Con trasparenza, questa serie racconta ognuno di noi, in qualche modo. C’è una grande onestà nel raccontare i personaggi. Non abbiamo cercato mezzi artificiali per colpire gli spettatori. Non c’era nessun desiderio di voler prendere in giro le persone. Ma volevamo coccolarle. Tutto è stato onesto, dalla regia alla fotografia, fino alla recitazione di ogni attore. Hai presente quando da bambine, ci raccontavano una favola? La storia iniziava con ”C’era una volta…”. Ecco, con Generazione 56K raccontiamo una favola, una favola vera.
Quali sono le consapevolezze che credi di aver conquistato dopo questa esperienza lavorativa?
Generazione 56K rappresenta la mia prima esperienza importante con un personaggio così interessante che doveva essere raccontato in un arco di otto puntate. Matilda mi ha donato molta più fiducia in me stessa, mi ha dato più coraggio. Mi ha insegnato ad apprezzare le fragilità che abbiamo. Mi ha insegnato che, nella vita, è importante ascoltare veramente ciò che sentiamo dentro di noi. Non bisogna aver paura di prendere determinate scelte. Quando siamo felici, ciò che arriva agli altri, è sempre amore. Nel momento in cui generiamo amore, quell’amore ci torna indietro. Se siamo infelici, non possiamo rendere felici gli altri.
La serenità è un aspetto molto importante anche per il mestiere d’attore, non credi?
Assolutamente sì, perché il mestiere d’attore non ti dà molte certezze. Sei, spesso, in bilico. Quindi, è facile diventare una persona frustrata ed incattivita. Bisogna cercare di rimanere sempre aperti verso l’universo. Bisogna cercare di essere sempre positivi, in ascolto verso gli altri. Se ci chiudiamo, non vediamo nemmeno le cose belle che ci accadono intorno che, magari, sembrano piccole, ma sono cose meravigliose e meritano di essere apprezzate. Deve cambiare il punto di vista. Le cose migliori meritano di essere vissute fino in fondo.
Quando ti sei detta: ”Voglio fare l’attrice per tutta la vita”?
L’imprinting è arrivato all’età di otto anni e per caso. Studiavo danza sin dall’età di quattro anni. Inizialmente, volevo fare la ballerina. Poi, una mia zia, che faceva parte di una compagnia amatoriale, mi chiese se volevo partecipare ad uno sketch per bambini. Essendo molto curiosa, accettai. Mi ricordo di essere salita sul palco, di aver interpretato un gattino e di essermi divertita tantissimo. Sentivo di avere la possibilità di esprimermi a 360°. Non avevo limiti. Avevo piena libertà di creazione. In quel momento, mi sono detta: “Mi piace tutto questo”. Siccome vengo da un paesino molto piccolo, non avevo la possibilità di frequentare corsi di recitazione perché non c’erano. Quando ho compiuto quattordici anni, ho frequentato un corso di teatro a scuola, durante il pomeriggio.
Durante quei corsi, ho deciso che quello sarebbe diventato il mio lavoro. Il mio insegnante, negli anni, mi ha fatto conoscere le varie scuole di recitazione. Ho iniziato a studiare. Mi sono preparata al meglio. Ero decisa. Ricordo di aver vissuto l’ultimo anno di liceo in maniera molto tesa perché non volevo altro che recitare. Mettevo da parte le interrogazioni da preparare e studiavo recitazione. Ricordo che, durante l’esame di maturità, oltre alla preparazione della tesina, preparai un monologo perché pensai: “Magari, mi chiedono di farne uno”. Dopo il liceo, ho frequentato la Scuola di Teatro Paolo Grassi e ho realizzato: “Ok, ho la conferma che lo posso fare”. E da quel momento in poi, è iniziato tutto…
Eh sì, adesso hai la conferma che questo mestiere lo puoi fare!
Sì, però sai, venendo da un paesino e non conoscendo la realtà che c’era fuori, mi sentivo un po’ un pesce fuori dall’acqua quando poi sono arrivata in una grande città. Quando sono entrata nella scuola per fare i provini, vedevo tutti i ragazzi agitati mentre io mi sentivo sicura di quello che avevo preparato per il mio provino ma non mi rendevo conto dell’importanza della scuola. Leggevo ciò che era scritto online ma non frequentavo il giro del teatro. Non avevo la possibilità di andare al Teatro Piccolo oppure al Teatro Argentina. Ero fuori da quel mondo e forse tutto quello, in realtà, mi ha aiutata. Perché sono entrata in quell’ambiente da incosciente. Mi sono buttata. E quando ho saputo di essere stata presa nella Scuola, ho vissuto uno dei momenti più belli della mia vita. Ero molto felice.
Se ti guardi da fuori, come descriveresti Cristina?
Sono una ragazza che ha voglia di mettersi sempre in discussione. Sono piena di paure ma ho voglia di superarle e di mettermi in gioco. Mi reputo curiosa, un po’ insicura. Ti direi anche coraggiosa.
Puoi dirlo, dai.
Sì, lo dico. Sono coraggiosa.