Alla fine del decennio, la petite robe noir (piccolo vestito nero) troverà un secondo respiro presso i giovani designer: Mugler, Montana, Beretta, Gaultier o AlaÏa cambieranno il corso della moda. Diventerà l’emblema di una gioventù dorata, che, Paloma Picasso in testa, avrà le vertigini dallo Studio 54 di New York al Palace a Parigi, mentre le adolescenti con la complicità di Agnès B. d’ora in poi lo indossano nei cortili delle scuole superiori. Comincia allora a perdere la sua connotazione di vestito “femme-femme” e allarga così ulteriormente il suo impero. Nel 1948, l’arrivo in rue Cambon di Karl Lagerfeld sveglia una maison sonnolente. Inès de La Fressange è la musa ispiratrice del couturier. Strizza l’occhio alla Ford, la top model conclude ogni sfilata in nero Chanel.
Taglie allargate, punto vita marcato, appollaiato su tacchi alti, aggressive come le eroine dei cartoni animati e dei fumetti, silhouette polpose sotto la matita di Antonio, la petite robe noir (piccolo vestito nero) si adatta, sperimenta nuovi materiali. Cuoio o latex tempestato di strass, sfila in versione Mugler o Montana davanti alle orde oscure del cortile Carrée, a Parigi, mentre Azzedine AlaÏa utilizza maglia e stretch per esaltare i corpi di inaccessibili creature tutte di nero vestite.
L’arrivo del minimalismo negli anni Ottanta imporrà a lungo la moda del nero. Pur conservando la propria identità, la petite robe noir (piccolo vestito nero) cavalca l’ondata giapponese con Issey Miyake, Rei Kawakubo, Yohji Yamamoto.
Essere la beneamina dei creativi, anche se così talentuosi, non è sufficiente a questo archetipo della raffinatezza parigina e della quintessenza dello chic. Nel bel mezzo di un tripudio di colori del Sud, Christian Lacroix utilizza la petite robe noir (piccolo vestito nero) come una punteggiatura nei suoi défilé. Miuccia Prada armata della sua cintura firmata, colpisce con la sua “petite Prada” le prime pagine di tutti i giornali. Diventa l’appannaggio di una generazione che sceglie il nero. Il vestito trova un posto d’elezione nei portabiti più “fashion”. Attorno a quel petite robe noir (piccolo vestito nero), il gusto delle madri raggiunge quello delle figlie, si rafforza e si rivela ben oltre un ampio fenomeno di miscuglio generazionale che caratterizza così bene i nostri tempi.
Da Calvin Klein a Donna Karan, da Anne Demeulemeester a Josephus Thimister e Martin Margiela, come dall’austriaco Helmut Lang al tedesco Jil Sander, tutti i nuovi grandi nomi della moda tentano di appropriarsi del petite robe noir (piccolo vestito nero), considerandolo come una variante della loro moda “grunge” o minimalista.
Coscienti che è divenuto una sorta di passaggio obbligato agli occhi della stampa e dei professionisti della moda, ciascuno si dedica a questo esercizio di stile con il sentimento di scrivere una tappa importante nella loro storia. Anche da Pucci, figlia del maestro degli impressionisti psichedelici, d’ora in poi inserirà i petites robes noires (vestiti neri) nel suo défilé al fine di modernizzarne l’immagine. Jean-Paul Gaultier e Thierry Mugler gli daranno il loro ingresso in ogni loro sfilata. Tom Ford lo erige come una star da Gucci, mentre più tardi compare da Yves Saint Laurent nella sua Rive Gauche. Nicolas Ghesquière, impregnato del timone creativo, lo reinterpreta da Balenciaga e Helmut Lang lo brandisce come il suo stendardo.
Ma invitata ai rave-party di alta moda organizzati da due sconosciuti eccentrici e superdotati – John Galliano da Christian Dior e Alexander McQueen da Givenchy – che “devastazione” decadente e indecente, la petite robe noir (piccolo vestito nero) reinventa il glamour.