Non esistono piccole donne, ma il gap di genere è dietro l’angolo. Molte non vedono ancora la luce che illumini e riconosca loro meriti umani o professionali. Parte dal libro firmato sotto pseudonimo da Johannes Bückler, che ha spopolato su Twitter, la riflessione di Camilla Filippi. Per la regia di Susy Laude e con la voce di Francesco Montanari, l’attrice ha debuttato portando sul palco dell’Auditorium Bortolotti, in occasione della kermesse Narni Città Teatro. Cadute necessarie, un monologo d’autore costruito dopo la lettura delle celebri storie al femminile raccontate dallo scrittore, definito piuttosto “un narratore” da Carlo Lucarelli, nella sua opera letteraria edita da People. Quasi una poetica antologia alla “Spoon River”, popolata da vittime ed eroine che hanno lottato per i loro diritti. Contro la disparità e il maschilismo imperante. In politica così come nel lavoro, compreso quello degli artisti. Sei le selezionate protagoniste in scena, tutte diverse fra loro, dimenticate dalla memoria collettiva seppure abbiano lasciato un segno importante e visibile nel tempo grazie al loro operato. Da Mary Ann Bevan, Helen Louise Hulick a Franca Viola passando per Savina Ruper e il “diavolo in gonnella” Alfonsa Morini Strada. Una rivoluzione che inizia dagli abiti negli anni ‘30, una battaglia vinta ma che resta ancora l’interrogativo dentro l’attualità dei pregiudizi. Un viaggio scenico emozionante lascia allo spettatore la riflessione critica sullo stato delle cose nella contemporaneità che sì, fa progressi, anche se non troppi.
Quando ha capito di essere diventata donna, spogliandosi dai panni dell’adolescente?
«La vita mi ha fatto diventare grande molto presto. Purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista, anche il fatto che a 26 anni fossi già mamma mi ha proiettato nel mondo degli adulti. Lo spettacolo nasce dopo aver letto il libro “Non esistono piccole donne” di Johannes Bückler , distribuito dalla casa editrice People. La premessa del volume è che su 100 vie in Italia solo 8 sono dedicate a figure femminili e oltre il 50 per cento sono Madonne. Ho trovato talmente tanti racconti fra le pagine, poi ne abbiamo scelto soltanto sei. Donne che, pure involontariamente, hanno cambiato la storia di tutte le altre. Ma non vengono ricordate».
Un monologo al femminile diretto da Susy Laude. Si è mai sentita piccola davanti agli uomini?
«Ci provano continuamente a farci sentire piccole e dobbiamo lottare, nonostante tutto, ancora tantissimo. Perché non siamo andati avanti. Certo, procediamo a piccoli passi. Un personaggio del mio spettacolo, la pedagogista ed educatrice Helen Louise Hulick, nel 1938 fu arrestata in America per aver indossato un paio di pantaloni in un’aula di tribunale e, alla fine del suo pezzo, dice che è grazie alla sua presa di posizione se le donne, oggi, possono dire di aver vinto una battaglia millenaria, quella dei vestiti. Poi, sul palcoscenico, si interroga se alla fine di questa continua guerra c’è stata effettivamente una vittoria».
Da persona, oltre che da artista, qual è la cosa che la ferisce di più?
«La considerazione. Mi affatica parecchio, gli uomini sono apprezzati molto di più, ad esempio hanno una maggiore facilità nell’esordire alla regia. Nel lavoro, non solo quello artistico, in tutte le professioni persistono la disparità e il gender gap».
Ha mai pensato alla carriera da regista?
«No, non mi interessa. Mi piace scrivere, scoprire storie. Lascio a chi ha questo talento la possibilità di svilupparlo e farlo crescere. Come nel caso di Susy, che mi ha guidato completamente perché la scena non è il mio habitat naturale. Ci sono spazi diversi che vanno riempiti, se non ci fosse stata lei non penso che ce l’avrei fatta. E la nostra è un’ottima squadra al femminile. Poi, siamo entrambe bresciane».
Una storia di donne, fra rivalità e riconciliazione che nasce da un dolore, anche nel suo romanzo “La sorella sbagliata”.
«Un racconto d’amore e odio tra due sorelle, l’incapacità di saper gestire i sentimenti che, in alcuni casi, diventano una vera e propria difficoltà. Il viaggio che faranno insieme servirà loro per trovare un equilibrio, ripulendo le emozioni sbagliate e riscoprendo un rapporto sano quanto indelebile».
Il personaggio più difficile da interpretare nello spettacolo?
«Si empatizza con tutte, sarebbe impossibile non farlo».
E quello che, invece, percepiva come meno adatto a lei?
«Nessuno, piuttosto ho colto il consiglio di Susy di non andare avanti con un noioso reading d’autore ma di confezionare un monologo ad hoc. Ho studiato e sono entrata nell’anima di persone che hanno qualcosa in comune: la dignità. Si sono impegnate, affrontando la loro esistenza con una grande forza, senza perdersi di spirito, facendosi valere in un mondo prettamente maschilista».
A Narni rinasce il teatro dal vivo, ma ha dei progetti in cantiere per il grande schermo o in televisione?
«In questo momento no, aspetto di portare in giro il mio progetto teatrale. Mentre Susy adesso è al cinema con il film “Tutti per Uma”, la sua opera prima. Quindi, magari, un giorno sarò la protagonista della seconda (ride seduta accanto a Laude, ndr)».
Credits Ph. Alessandro Montanari e Courtesy of Press Office