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Parlare e raccontare gli esseri umani ed il mondo attraverso la musica e le parole. ELIAM desidera plasma l’empatia e la attraversa in un dialogo continuo con l’arte.

Lamberto Mancini nasce a Roma nel 1983 da padre romano e madre di origini abruzzesi/marchigiane.

Laureato nel 2008 inizia subito a lavorare come disegnatore, grafico e assistente di stile in diversi uffici di Roma e provincia.

Il percorso musicale “ufficiale” inizia nel 2007, quando viene letteralmente spinto sul palco da due sue amiche cantanti. Risalgono ad allora le esperienze di canto corale, di musical theatre e di performance live in duo acustico (chitarra e voce). La fascinazione per la musica confluisce naturalmente nella scrittura di brani inediti. Con la pubblicazione di Eroi l’evoluzione artistica matura fino alla scelta di scrivere in lingua italiana. Il singolo viene pubblicato il 28 maggio.

Benvenuto, ELIAM. Da venerdì 28 maggio, è arrivato su tutte le piattaforme digitali il tuo singolo ‘Eroi’. Come nasce questo brano?

Di prepotenza direi. Dopo lo scoppio della pandemia, drasticamente interrotta ogni routine, mi sono ritrovato a fare i conti con la frustrazione, con una prospettiva vacillante. Come se avessi paura di perdermici dentro, sono corso a farmi guidare dagli accordi e dopo è stato semplice sfilare ad una ad una le parole direttamente dallo stomaco. E’ una di quelle canzoni che si scrivono da sole, perché hanno bisogno di uscire.


In che modo descriveresti Eroi?

Come il momento in cui perdi l’opportunità di essere fiero di te stesso e la delusione ti fa interrogare sul senso delle tue scelte; l’attimo in cui l’anima sente la scollatura che c’è fra i pensieri e le azioni e così ti impone di starla ad ascoltare.

Cosa significa, per te, ‘essere umani’ in questo momento preciso della nostra vita?

Significa avere fede, e qui uso la parola fede nel senso di credenza piena, alimentata da un’intima convinzione più che da considerazioni puramente logiche. Sapere di avere un impatto nel mondo e proprio per questo ricordarsi di costruire anziché distruggere.

In che modo presenteresti ELIAM? Chi è, visto attraverso i suoi stessi occhi?

Un bimbo maturo, un nessuno e centomila che fluido vuole sfuggire alle etichette, un ossimoro incarnato insomma.

Che valore ha l’empatia nella tua vita e nel tuo modo di esprimerti attraverso l’arte?

Non c’è valore più alto. L’empatia mi permette di accorciare le distanze, sembra diretta solo all’esterno, verso gli altri, ma accedere a questa capacità, usarla, mi pone inevitabilmente in risonanza anche con me stesso. Empatizzare è una comunicazione, l’arte è un modo di comunicare, non c’è l’una senza l’altra.

Ci racconti il momento in cui ti sei avvicinato alla musica?

Le ho girato intorno per parecchio tempo, quasi con riverenza la ascoltavo da “lontano”. Spinto da delle amiche che mi hanno incoraggiato ad esplorare il mio talento per il canto, ho poi deciso di iniziare gli studi con lo scopo di superare la mia estrema, e a tratti invalidante, emotività. Il risultato? Non mi è più bastata, ne ho voluta sempre di più fino a decidere di crearla io stesso.

Sei anche un graphic designer. In che modo la musica si collega a tutto ciò?

Molti mi dicono che sono un multipotenziale, io credo fermamente che non ci sia alcun grado di separazione fra una disciplina e l’altra; non mi riferisco solo alla grafica e alla musica ma a tutte le forme d’arte. Sono vasi comunicanti tra loro e tutti trasportano lo stesso liquido: l’emozione.

Se chiudi gli occhi, dove ti immagini tra dieci anni?

In mezzo alle querce, davanti un fuoco a cantare, assolutamente sobrio, o forse non troppo, ma sicuramente felice.