Primo appannaggio di alcuni, intelletuali e artisti per lo più, come Kiki di Montparnasse, la petite robe noir (piccolo vestito nero) entra rapidamente nei costumi e s’installa in un secolo che non lascierà più. Internazionale, attraversa l’Atlantico con le donne del mondo alla ricerca del “nuovo chic parigino”.
I vestiti si allungano; di sbieco con Madeleine Vionnet, drappeggiati da Madame Grès. Ma nè il romanticismo pastello di Nina Ricci nè il surrealismo di Elsa Schiaparelli possono sfuggire all’inevitabile “petite robe noir” (“piccolo vestito nero”), che d’ora in poi farà parte di qualsiasi collezione. Ogni couturier ci aggiunge il suo spirito. Sfila punteggiato da un crop, con un colletto o polsi di organza.
Alla dichiarazione di guerra mette fine a un’epoca spensierata, il vestito nero si unisce alla resistenza.
I tessuti si fanno rari, le case di moda chiudono a poco a poco. Allora si recupera, si tiene molto al nero, si accorcia e sovente, l’abito prebellico viene aggiornato, come i cappelli, con l’aggiunta di tulle che non necessita di biglietto di razionamento.
Ma dopo la fine della guerra, vedremmo la petite robe noir (piccolo vestito nero) portato dagli zazous al Tabou. Diviene l’uniforme degli esistenzialisti.
Parteciperà alla rinascita della Moda.
Allungata, la petite robe noir (piccolo vestito nero) si orna di scollature che mettono in risalto il petto. Dalla “prima colazione”, “pomeriggio” o al “cocktail”, riempie le prime pagine di Vogue, Harper’s Bazaar, Fémina e altri magazine di moda. È il trionfo delle belle, vaporose da Dior o da Jacques Fath, estremamente eleganti da Ménines di Balenciaga, o deliziosamente voluttuose in un fourreau Jolie Madame di Balmain o drappeggiato di mousseline da Jean Dessès.
Ma furono gli anni Sessanta che segneranno l’apoteosi del petite robe noir (piccolo vestito nero). È nella tormenta che si rivela la sua vera natura: l’indistruttibilità.