Durante il XVII secolo, con la diffusione della peste nera in Europa, i medici erano soliti indossare maschere a becco lungo per proteggersi dalla malattia e giravano armati di lunghi bastoni che utilizzavano per allontanare gli appestati e per controllare i loro pazienti.
Oltre a questo, la “divisa” dei medici della peste si componeva di un lungo cappotto ricoperto di cera profumata, calzoni alla zuava legati agli stivali, una camicia infilata nei pantaloni, e cappello e guanti in pelle di capra.
Un look insolito e sinistro ma indubbiamente iconico, che è proprio per questo entrato nell’immaginario cinematografico da tempo.
In Italia “il medico della peste” divenne persino un simbolo della commedia dell’arte e anche delle celebrazioni del carnevale, tanto che, ancora oggi, è un costume popolare tra i veneziani durante il carnevale cittadino.
Una suggestione che più volte ci è stata richiamata alla mente in questi tempi di pandemia; la cupa maschera del medico della peste è diventata oggi la maschera chirurgica che tutti devono indossare quotidianamente.
Il couturier francese Franck Sorbier sposta la scena di due secoli in avanti, e parte da questo stesso immaginario per presentare la sua ultima collezione, immergendoci in un’atmosfera vittoriana e con un tocco neogotico.
La Maison Franck Sorbier ha collaborato con il Musée des Arts et Métiers per creare una narrazione cinematografica della sua collezione Winter Haute Couture 2020/2021 con un cortometraggio intitolato “Il Medico della Peste” Revelation, diretto da Amaury Voslion.
Il preludio è stato presentato sul sito della Fédération Française de la Couture,mentre la versione integrale è stata proiettata a Parigi il 21 settembre scorso al Museo delle Arti e dei Mestieri.
Il corto ruota attorno a tre personaggi principali; il medico della Peste (il dottore), la Commedia dell’arte (il malato) e la peste (il Covid-19).
Sogno e realtà, luce e tenebre, bene e male, salute e malattia si incontrano e si scontrano in questo corto pieno di simbolismo e di rimandi.
Come la prevalenza del nero come una metafora del sortilegio, o le piume indossate della protagonista che ricordano l’uccellaccio del malaugurio.
Anche la statua della libertà, che compare sia all’inizio che alla fine del corto, ha un forte connotato simbolico, e come ha spiegato Sorbier stesso; è l’ ancora in un periodo opprimente e la libertà di espressione che sempre deve essere l’ingrediente essenziale per ogni creazione.
La collezione è giocosa, bellicosa, elegante, austera, affascinante. Nostalgica.
Ai toni cupi fanno da controaltare quelli più caldi del rosso, dell’arancio e del bordeaux, che trovano grande impegno su pizzi, velluti e taffetà.
Ma non mancano neanche toni insoliti come il rosa pallido, il verde mandorla o l’assenzio, il blu porcellana e il giallo Napoli.
I capi sono stratificati ritagliati, ricomposti.
Su alcuni pezzi, i motivi sono sottolineati, al tatto, da linee oro e rame.
Il nero vela e punteggia tutte le silhouette.
Il pizzo predomina, ma anche il velluto stropicciato, il taffetà e il tulle ricamato che adornano piccoli ex voto messicani in argento.
Un plus sono i ricami di perle e seta, le passamaneria e i fiori in pizzo.