Cresciuta all’ombra del Vesuvio nel centro storico di Napoli, ha iniziato la sua carriera come vocalist nei club techno e poi come voce femminile al fianco di Franco Ricciardi, Enzo Dong e Luché. Passando per la colonna sonora di “Gomorra”, è appena uscita con un nuovo ep “Parlo ai cani” che lei stessa ha definito intimo sincero e sognante.
Ciao Daniela, parlaci un po’ di te: come sei diventata Da Blonde?
Correndo dietro ai miei sogni, facendo quello che mi fa stare bene. Amo la musica da sempre, ho iniziato cantando nei club nelle serate techno, dopo poco ho scritto le prime cose, c’è stata la prima band e mi sono resa conto di quanto fosse importante per me, mi rendeva felice e dava un senso a tutto,e non ho più smesso. Per gli amici sono sempre stata “la bionda” quindi la scelta del nome era quasi obbligata. Qualche anno dopo ho iniziato il mio progetto da solista e scrivere sui beat non mi bastava più, mi sembrava di adattarmi, volevo che la musica fosse la cornice perfetta per i miei pensieri, così ho preso a scrivere i brani accompagnandomi con la tastiera e a ricercare giá nella struttura, negli accordi la giusta atmosfera, così è nato “Parlo ai cani”.
Sensibile” è stata inclusa nella colonna sonora di Gomorra; che impatto ha avuto sulla tua carriera e hai mai temuto potesse limitarti nelle scelte artistiche che hai intrapreso successivamente?
La mia carriera non è cambiata granché, ma sono molto felice che sia stata scelta “Sensibile” per la colonna sonora della serie, sia perché si tratta di un pezzo in cui ho creduto molto, e anche perché scrivere musica per il cinema è uno dei miei sogni. No, non ho mai pensato che la cosa potesse limitarmi, anzi sono felice di come è stato recepito il brano, mi è sembrata la prima volta che le persone che mi ascoltavano ricevevano tutta la carica emotiva che ci avevo messo.
Come descriveresti “Parlo ai cani” in tre parole?
Intimo, sincero e sognante.
Ci sono voci di donne a cui ti ispiri?
Le voci mi incantano, le prime che mi hanno fatto sognare erano le cantanti dei bootleg, i dischi senza nome, erano davvero solo voci per me, non avevo idea di che aspetto avessero e questa cosa mi affascinava, non riuscivo ad immaginare un amore più spontaneo, e anche io volevo essere una voce su un disco, come se essere solo una voce ti evitasse tutte le sofferenze. Una delle voci che mi ha letteralmente folgorato all’epoca fu quella di Roisin Murphy, cantante dei Moloko, mi sembrava di ascoltare un angelo, una sirena, quella voce cristallina, limpida, sospirata si faceva strada tra un mare di grida. Quello che mi ispira davvero sono i modi di comunicare.
Quanta Napoli c’è nei tuoi testi?
Napoli è nei miei testi esattamente come è parte di me, di sicuro non è la Napoli degli stereotipi, perché non è così che la vivo, ma è una Napoli sottile, da leggere, che sta nei dettagli, nelle sfumature.
Che cosa ti auguri per il futuro?
Mi auguro che presto si possa tornare a fare live e che si approfitti di questo momento per rivedere tanti aspetti di questo settore che venivano sottovalutati anche prima del covid, e poi ovviamente vorrei fare un altro disco spingendo un po’ in più sull’elettronica.