Abbiamo chiesto al designer Gilberto Calzolari cosa serve oggi per un rilancio non solo dell’intero sistema moda, ma del nostro vivere insieme in un pianeta che appare sempre più in difficoltà. Gilberto ha dimostrato una grande sensibilità verso la sostenibilità intesa come costante equilibrio tra rispetto dell’ambiente e bellezza innovatrice. Un impegno che gli è valso nel 2018 il prestigioso Franca Sozzani Green Carpet Award.
Gilberto, si potrebbe dire che tutto quello che ha a che fare con la moda in termini di creatività, di colori, di tessuti, ti accompagna fin dall’ infanzia. Raccontaci le tappe cruciali del tuo percorso di designer protagonista del Made in Italy, sempre più apprezzato e premiato a livello internazionale.
Forse la mia più grande fortuna è quella di aver avuto dei genitori attenti che hanno intuito e assecondato una mia predisposizione naturale al disegno e all’arte sin da piccolo, quando immerso a giocare e creare i miei mondi di fantasia, predisposizione sfociata poi nei miei studi successivi, vale a dire il liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti di Brera – scuola di cui vado particolarmente fiero perché da li sono usciti creativi che ammiro come Moschino ed Ennio Capasa – dove mi sono diplomato in scenografia e costume.
Sicuramente il fatto che mio padre avesse studiato merceologia e fosse poi diventato venditore di tessuti presso Galtrucco – storico negozio milanese di tessuti pregiati in piazza Duomo – ha influito nell’indirizzare la mia scelta professionale nel settore moda. Lo accompagnavo a vedere le sfilate ai tempi di Milano Vende Moda, e a Pitti Filati, e lo guardavo allestire le vetrine dei negozi. In seguito è arrivata una borsa di studio vinta dopo la laurea, e il primo lavoro presso Marni proprio nel momento di boom del marchio, mentre di sera studiavo modellistica e confezione presso l’Istituto Secoli a Milano. Dopo Marni si sono susseguite altre esperienze importanti come assistente presso prestigiosi brand del made in Italy come Alberta Ferretti, Valentino, Miu Miu, e Giorgio Armani, dove sono stato 10 anni come senior designer.
Finché, arrivato ai 40 anni, ho maturato la decisione di prendermi un anno sabbatico (in cui ho comunque fatto delle collaborazioni) per poi iniziare con il mio brand di moda tutto incentrato sulla sostenibilità. Poi, nel 2018, vincere il prestigioso Franca Sozzani Green Carpet Award come Best Emerging Designer mi ha dato la conferma che la direzione intrapresa verso una moda green, più responsabile nel rispetto del nostro pianeta, era quella giusta.
Le tue creazioni, come anche il logo del tuo brand, riflettono le molteplici declinazioni e gli opposti presenti nell’estetica contemporanea. Quale è secondo te il tratto distintivo dell’estetica del nuovo millennio?
Giocare con i cortocircuiti estetici è sicuramente uno dei tratti distintivi del mio brand, nonché, a mio avviso, una delle cifre della contemporaneità. Mi piace l’armonia di elementi dissonanti tra loro, apparentemente in contrasto, dove il dettaglio insolito e inaspettato getta nuova luce e aiuta a reinterpretare un capo sovrapponendo estetiche diverse. E’ nelle frizioni dissonanti che risiede l’energia dello stile contemporaneo. In tutte le mie collezioni i riferimenti alla natura sono fondamentali, perché è una costante fonte di ispirazione. Ma tutto è passato al setaccio di una rielaborazione artistica e culturale.
Come influisce la naturale sull’uomo e come l’uomo rielabora la natura? In Une Partie de Campagne, ad esempio, ispirandomi al classico film di Renoir e al tempo stesso omaggiando la campagna lombarda, ho messo in scena la riscoperta della natura da parte di un mondo “cittadino”. Del resto, la percezione estetica del paesaggio, storicamente, è nata quando l’uomo ha iniziato a vivere lontano dalla natura. Nella collezione successiva, Unnatural, ho giocato invece sulla dicotomia naturale/artificiale, su una natura alterata dall’uomo nelle forme e nei colori, con riferimenti all’arte contemporanea (ad esempio Damien Hirst).
In Dune ho ricreato un mondo post-tecnologico con donne nomadi e guerriere che ritorna a un’eleganza essenziale e senza orpelli, e in cui l’elemento tecnologico è utilizzato in maniera sorprendente, come i capi realizzati con gli airbag esplosi, grazie a una partnership con Volvo.
Infine, nella mia ultima collezione, Tilt System, fin dal titolo parlo di un sistema in tilt, che va rivisto completamente perché così non può più continuare, tanto che le modelle in passerella a un certo punto si bloccavano mentre sugli schermi comparivano scritte di standby. Tutto questo avveniva pochi giorni prima dell’esplosione della pandemia da coronavirus che non ha fatto altro che accentuare la crisi di un sistema non più sostenibile, anche ecologicamente.
Quindi diciamo che nelle mie collezioni intervengono influssi diversi, dall’arte (e per arte intendo ovviamente anche il cinema) alla tecnologia alla scienza, prima fra tutte la biologia. Prima ancora che il 2020 ci mettesse di fronte a una vera e propria catastrofe storica parlavo di una natura spesso manipolata e di prodotti e artefatti ibridi, in mutazione.
La moda sempre di più dovrà avvalersi del progresso tecnologico e digitale che già tutt’ora condizionano le nostre identità e gli aspetti comportamentali – vedi i social – oltre a fornirci strumenti dedicati a migliorare la nostra vita quotidiana fornendo risposte a necessità dei consumatori e negli stili di vita. Ma questo non significa che si deve dimenticare da dove veniamo. Anzi, il rispetto per la natura e per il nostro pianeta deve venire prima di tutto. Poi, se la tua domanda si riferisce a come quello che stiamo vivendo condizionerà la moda, possiamo parlare di quelle che saranno le tendenze post-coronavirus, con una rinnovata attenzione verso la sfera del domestico emersa nei mesi di lockdown e di azzeramento del contatto con gli “altri”, ma anche qui prevedo che assisteremo a un contrasto e una polarizzazione interessante, con da un lato la richiesta di abiti più comodi e pratici e dall’altro il desiderio di capi speciali, made to order quando non addirittura made to measure, in cui si valorizzi l’esclusività e la specialità di un capo.
La tua ultima collezione Tilt System ha anticipato il dibattito non più procrastinabile sulla necessità di un ripensamento delle logiche del fashion system. Da questo punto di vista, forse anche i nuovi equilibri dettati dalla pandemia possono essere un’opportunità per rinnovarsi, non pensi?
Assolutamente. In molti mi hanno detto che il titolo era in qualche modo profetico, ma i segnali di un sistema in tilt erano già tutti presenti. Credo che, come dici tu, la pandemia non farà che rendere questo dibattito una necessità non più procrastinabile. Diceva Coco Chanel che “la moda non è solo qualcosa che sta nei vestiti. La moda è nell’aria. Ha qualcosa a che fare con le idee, con il modo in cui viviamo, con ciò che ci accade”.
Per questo i creatori di moda sono diventati grandi protagonisti della vita sociale del XX secolo e credo che la moda avrà ancora molto da dire anche in questo secolo, soprattutto se capirà finalmente che bisogna intraprendere la strada della sostenibilità e recuperare ritmi più slow e umani, con un ritorno alla cura artigianale e alla ricerca della bellezza – una bellezza al tempo stesso etica ed estetica – contro a una fast fashion che ha rivelato in maniera ormai incontrovertibile di avere un impatto sul pianeta devastante.
Anche grazie ai Fridays for Future, tutto ciò che ha a che fare con il tema della sostenibilità, con il riciclo, con un maggiore rispetto verso la nostra terra, ha acquisito una certa risonanza nella società. Una ritrovata consapevolezza, un ritorno alle proprie radici, potrebbero essere la chiave di volta per consacrare il modello del Made in Italy?
Ricordo che in occasione del primo FFF ero in piazza a manifestare con un’amica, Federica del Sale – influencer milanese che ha indossato il mio abito ai Green Carpet Fashion Awards – e questa consapevolezza ed energia per strada era tangibile e inebriante. Ci sentivamo tutti mossi da una causa comune. Io sono convinto che una moda autenticamente sostenibile coinciderà inevitabilmente con un ritorno a un vero Made In Italy, un valore che purtroppo si è perso e va recuperato. Ma bisogna analizzare le cause, come l’aver inseguito i ritmi della fast fashion con troppe collezioni annue e l’aver delocalizzato le produzioni in Paesi dove la forza lavoro è più a buon mercato per aumentare i margini di profitto o essere più competitivi, ma per un vero cambiamento occorre che tutti facciano la loro parte, compresa una politica nazionale che oggi non agevola assolutamente le piccole imprese e l’artigianato, con tassazioni e cavilli burocratici che hanno fatto sempre più da deterrente spingendo sempre più aziende a migrare all’estero per produrre i capi d’abbigliamento. Tutto ciò a discapito della qualità.
Il tuo approccio creativo può fare da esempio per tanti designer, ma in un’ottica più ampia, hai mai pensato a portare le tante potenzialità della moda sostenibile tra i giovani, all’interno delle scuole?
Sì, assolutamente. Proprio durante questo periodo di lockdown forzato sono nate una serie di collaborazioni con alcune scuole come l’Accademia del Lusso, dove insegno agli studenti del terzo anno un corso di Branding, Costing & Processing con uno sguardo alla moda sostenibile, e l’Università Umanitaria di Milano per la quale ho svolto dei webinar in cui ho raccontato una moda più responsabile. E’ l’unica strada percorribile ma c’è ancora molta strada da fare, e sicuramente formare le nuove generazioni è un tassello importante. Purtroppo ci sono ancora troppi preconcetti che vanno sfatati e manca una vera comunicazione e una promozione seria nei confronti del consumatore finale.
Pablo Neruda durante la sua permanenza a Capri, ispirato dalla bellezza dell’isola, scrisse una raccolta di poesie d’amore; Pablo Picasso, invece, affermava “se dipingete chiudete gli occhi e cantate”. Gilberto Calzolari come crea le sue collezioni?
Immergendomi nel “qui e ora”, nella consapevolezza dell’esistere, soffermandomi ad osservare tutto ciò che mi circonda, cercando il bello anche nello stridere delle contraddizioni della vita quotidiana. Un colore, un film, un oggetto trovato, una notizia sul giornale, un viaggio, il soffio del vento sui fili d’erba… e proprio in quella scintilla ogni mia collezione diventa un’occasione per affrontare temi legati alle problematiche ambientali, che possano essere d’ispirazione e riflessione verso un settore per certi versi effimero, ma che, proprio perché è specchio della nostra società, dice moltissimo sui nostri desideri e le nostre aspirazioni, su chi siamo e chi possiamo e vogliamo diventare.