Il Musèe Rodin è stato il palcoscenico per la sfilata Dior che ha aperto ufficialmente la Paris Fashion Week.
Maria Grazia Chiuri ci regala una nuova declinazione del suo emblematico femminismo-chic. La donna, con la sua poliedrica identità, torna ad essere protagonista indiscussa del suo fashion show.
Dior per la FW19 torna agli Anni ’50 che rappresentano, sulla timeline, il vero anno zero della Maison.
Erano gli anni del New Look che rivoluzionò Parigi e il resto del mondo. Ma erano anche gli anni in cui, Londra vedeva l’affermarsi di una delle subculture più famose: le Teddy Girls. Le giovani attiviste che si ribellarono al rigore del dopoguerra rifiutando i dress code del tempo.
Un mood che vedeva l’imposizione del denim, delle giacche edoardiane e dei biker in pelle in contrapposizione ai dettami dell’Upper Class. E quello stesso mood influenzò il punk degli Anni 70, con strascichi fino ai ’90.
E’ da questo melting pot di ispirazioni e codici iconici che nasce la collezione Dior FW19 che, più che un tributo, è quasi un amarcod, un elogio ai bei tempi andati.
Non è puro esercizio stilistico, infatti, l’introduzione del giaccone in pelle vinilica perchè fu Yves Saint Laurent a crearlo quando era direttore creativo della maison, negli anni ’50. In quei favolosi anni ’50.
Buket hat con velette, total look in check dal sapore grunge, stivaletti kitten heel, tailleur bar declinati in chiave post-moderna e maxi bag. Comode, pratiche e super riconoscibili.
“Sisterhood is global” è il nuovo claim delle T-shirt , che si ispira all’opera di Robin Morgan, attivita femminista e scrittrice.
E’ un guardaroba ricco di capi acuti, versatili ma eleganti e snob. Smart ma con una forte, fortissima identità.