Parlare di sfilata, quando il protagonista è Antonio Marras, ha sempre un che di riduttivo.
Sappiamo tutti che non si limita mai alla mera presentazione del suo ready-to-wear, ma ci conduce sempre alla scoperta della storia che intende raccontare o del messaggio che vuole lasciare.
Questa volta, tra le pareti di Spazio Marras, la scenografia ha ricreato un salotto anni ’30: divani lisi, dormeuse usurate dal tempo, fogli macchiati di caffè, vecchi quotidiani, fotografie ingiallite, matite, coppe da champagne e centinaia di lettere d’amore.
La storia è quella del padre di Amedeo Modigliani, ingegnere livornese che aveva interessi minerari a Buggerru, in Sardegna.
E’ la storia della sua amicizia con un ragazzo sardo e del suo amore, raccontato con pathos attraverso una performance di un gruppo attori.
La collezione parte dal concetto dell’abito buono della domenica. Quello che si indossava dopo una lunga settimana di lavoro, quando vestirsi eleganti era quasi come una ricompensa umile alla fatica.
E’ la commistione di tutti gli elementi che disinguono Antonio Marras dagli altri: velluti, patchwork, grisaglie, sete stampate, ricami e una palette colori che trova armonia nei colori calmi come il rosa antico e il marron glacè.
La leggerezza stilistica degli abiti si completa con Mary Jane, stivali e stringate a punta talvolta in pellami elettrici.
Marras, ancora una volta, ci lascia un messaggio: bisogna circondarsi di cose belle. Perché, dopo tutto, “Bellezza è Verità. Verità è Bellezza”.