“L’Italia è un paese per vecchi”, sentenziano in molti, e per alcuni versi la disillusione tra gli under-contrattoatempoindeterminato si fa spazio con poca difficoltà. Noi scegliamo però di cogliere delle meravigliose eccezioni, di afferrarle al volo e raccontarle a voce alta, perché la disillusione rischia di generare falsi miti, oscurando quanto di bello esiste negli esempi di chi c’è l’ha fatta.
L’eccezione di oggi si chiama Vicky Gitto. Presidente dell’ADCI (Art Directors Club Italiano), Vicky ha diretto per nove anni il reparto creativo di Young & Rubicam Italia, “polo” italiano di una tra le più importanti agenzie pubblicitarie del mondo. Innamorato “epidermicamente” del suo lavoro, ci ha fatto venir voglia di sederci alla sua scrivania, perché la scrivania di un creativo racconta di lui molto più di quanto pensiate.
Ma partiamo dall’inizio, dalla sua origini siciliane, pregne di una creatività mista a salsedine.
- Cos’è per lei la Sicilia? Quanto ha influito nelle sue scelte?
La Sicilia è l’origine di tutto, dell’energia che mi ha spinto a vivere di passione per tutto quello che faccio. È un posto dove devi usare la creatività e trovare un’idea per risolvere qualsiasi cosa.
- Ha dichiarato che la sua famiglia la invogliava nell’idea di studiare pubblicità e lasciare casa. Non tutti i giovani hanno questa fortuna: cosa consiglia ai piccoli Vicky in giro per mondo?
Quando hanno avuto me e mia sorella i miei avevano vent’anni, erano molto giovani, e devo dire che hanno avuto anche una grande sensibilità nel capirci. Da piccolo dipingevo e mi piaceva stare con mia nonna che era un’artista, però i miei si accorsero che avevo anche una mente abbastanza razionale, per cui dalla loro osservazione siamo arrivati alla pubblicità, che univa perfettamente questi due aspetti.
Sono stati fondamentali: l’amore in famiglia spesso è un sentimento molto egoista, invece i miei hanno fatto un atto d’amore scegliendo di lasciarmi andare per la mia strada.
Oggi più che mai consiglierei una cosa semplice che alla fine ha un grandissimo valore: di non negare mai una possibilità ai propri sogni.
- Cosa risponderebbe se un bambino le chiedesse: “Vicky, che lavoro fai?”
Qui la spariamo grossa: creo soluzioni per far girare meglio il mondo.
- Qual è stata la palestra più significativa per la sua mente?
L’osservazione. E l’intuito. Nel nostro lavoro l’approfondimento è fondamentale, ma l’osservazione, anche dei gesti delle persone, dei movimenti culturali, dei macro-trend, insieme all’intuito fanno la differenza. Il nostro lavoro non ha un senso se tu non riesci ad arrivare coi tuoi messaggi alla gente.
- Il cervello si ferma mai?
No. Con l’esperienza e col tempo impari a gestire le tue energie: quando sei giovanissimo e stai lavorando su un progetto, la mente va e non riesci a fermarla mai. Poi con la maturità impari a dosare le tue risorse, per cui riesci anche a staccare e non essere focalizzato soltanto su quello su cui stai lavorando. Comunque fare il creativo è un lavoro che assorbe moltissimo.
- La creatività è innata, o è sinonimo di studi, dedizione e ricerca continua?
E un mix, credo che ci sia una componente di talento che è innata, ma il talento va nutrito, va coltivato, per cui è fondamentale che al talento si abbini una componente di studio, dedizione e ricerca continua. Le persone che ho incontrato con profili da fuoriclasse spesso avevano un talento innato; se non ce l’hai con costanza e dedizione puoi comunque diventare un buon professionista.
- Dal web: “… dal 2009 a oggi Y&R Italia ha raggiunto livelli altissimi di reputazione creativa sotto la direzione di Vicky Gitto, considerato uno dei Direttori Creativi italiani più influenti al mondo, che ha contribuito in modo decisivo all’evoluzione della cultura di comunicazione dell’agenzia e alla sua affermazione come una delle agenzie italiane più innovative e premiate a livello internazionale;”. Che effetto fa?
Questo ti permette di non avere nessun rimpianto per il passato. Una volta un direttore creativo mi disse: “Non conta cosa hai fatto nella tua storia, conta cosa hai fatto due ore fa”, questo lavoro è così, non puoi pensare, una volta fatto un grandissimo lavoro, di vivere di rendita per il resto della tua vita, quello che conta, essendo il nostro lavoro in continua evoluzione, è il progetto che hai fatto questa mattina. Quando arrivi a grandi risultati l’unica cosa che hai è una maggiore serenità e consapevolezza, però di contro ti poni obiettivi sempre più ambiziosi.
- Essere uno dei Direttori Creativi più giovani e influenti, significa appagamento e culla della mente, o sete e fibrillazione?
Appagamento completo mai. L’irrequietezza è una componente fondamentale della nostra evoluzione professionale.
- Una manager donna guadagna la metà di un uomo che esercita la stessa professione. Crede che se fosse stato una donna, sarebbe arrivato dov’è con la stessa facilità?
Per me non c’è differenza tra uomo e donna, sul lavoro l’unica differenza la fa il talento, anche se credo che le statistiche purtroppo diano torto a questa affermazione.
- La mission “Resist the usual” è il claim del fondatore di Young & Rubicam, Raymond Rubicam. Cos’è, per lei, the Usual?
The usual è la “comfort zone”, cioè quella zona di comfort in cui reiteri meccanismi che hai già applicato più volte. Credo che “resist the usual” sia proprio un invito ad andare al di là di quelle aree di comfort, in cui devi un po’ sperimentare e anche prenderti il rischio di sbagliare.
- Quale termine preferisce tra creare, stravolgere e interpretare?
Assolutamente creare. Io ho un rapporto quasi fisico col mio lavoro. Energia, tempo, per me si trasformano in una componente di fisicità enorme. Non amo stravolgere, preferirei rivoluzionare. Interpretare è un’attitudine sicuramente intelligente ma passiva, interpreti qualcosa che è già stato fatto.
- Come nasce un’idea?
Arrivato a un certo punto hai un’esperienza e un percorso tale che cominci a sentire le idee a pelle. Quando hai avuto una buona idea su un progetto, su un brief, lo senti dentro. È una cosa fantastica, è quello che quando fai questo lavoro non riesci a spiegare ma ti rende quasi dipendente da ciò che stai facendo. Le idee nascono da mille cose, dall’osservazione, dall’intuito, dallo studio, dall’attenzione. Devi essere come una ricetrasmittente con le antenne costantemente alzate, cercare di metabolizzare tutti i segnali che ti arrivano da fuori e convogliarli in qualcosa di univoco: un’idea. Col tempo quando sei vicino a qualcosa di grande arrivi proprio a sentirlo dentro.
- C’è un progetto che le è rimasto nel cuore?
L’ultimo, quello per i malati di Alzheimer, realizzato per un’associazione che si chiama Italia Longeva: “Chat Yourself”, questo è il nome del progetto, è stato un lavoro con un contenuto di tecnologia altissimo, in genere si associa la tecnologia a un qualcosa di molto freddo, in realtà è un progetto che invece offre una soluzione a un problema sociale immenso. È un tema davvero delicato, ed é questo il progetto che mi ha dato le più grandi soddisfazioni, che ha ricevuto i più grandi riconoscimenti a livello internazionale, ma quel che per me lo ha reso straordinario è il mix di un contenuto di tecnologia elevatissimo applicata a una componente di umanità infinita.
- E oggi, nel suo cuore cosa c’è?
Un illimitato senso di libertà, ho lasciato l’agenzia (la Young & Rubicam) circa un mese fa, dopo un percorso lungo 8 anni e mezzo. Sono stato precedentemente in altre agenzie, quindi in vent’anni non ho mai staccato. Il 2017 è stato un anno indimenticabile dal punto di vista dei risultati creativi, mi ha messo in condizione di non avere alcun rimorso e potermi concedere felicemente una pausa per me. Se fai il creativo non puoi sempre e solo drenare energie, ogni tanto devi anche ricaricarti, trovare nuovi stimoli. Vorrei liberare la mente e ripartire tra qualche mese. E il bello è che potrei ripartire in qualsiasi direzione, perché in questo momento l’unica certezza che ho è che non voglio fare le stesse cose che ho fatto fino ad oggi.
- Se dovesse descrivere la sua vita in un moodboard, in 3/4 immagini significative, quali sceglierebbe?
Sicuramente ci sarebbe un’immagine col mare della Sicilia che per me è una fonte di ossigeno.
Poi ti direi la Triennale di Milano, perché è un luogo d’arte e riflessione che ritorna spesso nella mia vita.
Una scrivania piena di riviste e schizzi fatti con un Pentel nero, che è il pennarello con cui mi piace iniziare a lavorare su qualsiasi progetto, scartarlo e iniziare a sentire il suo rumore mentre faccio dei segni sul foglio bianco è quasi un rituale.
In ultimo uno zainetto, viaggio sempre il più leggero possibile.
- E ora sia sincero, ha mai fatto un’intervista così romantica?
Devo ammettere di no, di solito sono sempre più fredde e analitiche, questa ha un mix di aspetti professionali e aspetti privati che la rende sicuramente l’intervista più romantica che ho fatto 😉