STELLA JEAN. Originale e innovativa stilista italo-haitiana si racconta davanti a una tazza di caffè.
Il caffè, che rapporto hai con questa bevanda? Ami berlo, segui un rituale particolare?
Amo il caffè in molteplici sfumature, dalla tostatura haitiana al tradizionale espresso italiano.
Il tuo debutto nella moda ti ha vista principalmente come modella, oggi sei una delle giovani designer più affermate nel fashion system internazionale. Qual è la differenza tra indossare la moda e crearla?
Ho un percorso poco canonico, ma tutto inizia semplicemente con la mia storia, con quella che sono. Ciò che mi ha fatto decidere in modo definitivo di intraprendere questa strada è scaturito dalla necessità di trovare il mio linguaggio espressivo. La moda è il più autentico mezzo di comunicazione di cui dispongo ed è ciò che mi ha consentito di esprimere e risolvere il senso di inadeguatezza che ha caratterizzato i primi anni della mia vita. Il fatto di iniziare come indossatrice mi ha permesso di compiere un “furto con destrezza”, nonostante io abbia rapidamente compreso di essere nel posto giusto, ma in vesti errate.
Nelle tue creazioni c’è sempre un forte dualismo, spesso in contraddizione, tra aristocrazia e primitivismo, etica e glamour. Cosa vuoi comunicare con i tuoi abiti?
Tutto è nato dalla necessità di trovare un linguaggio espressivo per raccontare uno stato di multiculturalità applicata, fatta di condivisione e arricchimento culturale ed umano, con la speranza che lungo il cammino questi racconti si trasformino in semplice cronaca della realtà. Le mie origini, legate a entrambi i paesi che mi identificano in quanto essere, hanno sempre determinato il percorso che ho fino ad oggi intrapreso. Le mie radici culturali sono alla base del lavoro. I capi nascono dalla mia storia personale, riflettono il mio métissage di italo-haitiana ed il sincretismo socio-culturale insito nella cultura creola. Tutto parte dal concetto di multi-cultura applicata alla moda. Ho finito di “litigare” da poco con le mie due anime così profondamente diverse. Sono italo-haitiana e non è stato né rapido né semplice trovare l’equilibrio e la piena coscienza di due culture così prepotentemente radicate. La moda mi ha dato la completa libertà di movimento in un ambito delicato e fragile che è quello dell’appartenenza: mi ha dato la possibilità di smettere di dover scegliere una o l’altra e di farle ‘respirare’ entrambe, finalmente fiere e consapevoli.
Sei per metà italiana e per metà haitiana e nelle tue creazioni si evincono entrambi le culture. In te qual è la parte predominante?
Ciascuna delle mie due parti rappresenta esattamente il 50%.
Sulle scorse passerelle hai celebrato ancora una volta il métissage tra passato e futuro attraverso il calcio come espressione di libertà e condivisione. Quanto ti appassiona questo sport? Sei legata a qualche squadra in particolare?
Non mi reputo una tifosa sfegatata, ma questo sport mi appassiona fortemente se giocato nelle strade, nei cortili, tra i banchi del mercato, inteso dunque come una delle più semplici forme di comunicazione tra bimbi di ogni età che proiettano nel pallone un credo comune e trasversale. Latitudini, culture e tradizioni attraverso il calcio si fondono creando una socialità che non ha bisogno di tecnologia per vivere.
Nella tua ultima collaborazione con Benetton, oltre all’elemento cardine che è il colore, ti sei ispirata ai Nativi americani. Come è nata quest’idea?
La collezione è ispirata ad un crocevia tra “natale” e “nativo”. “Natale” è la terra e cultura di partenza, citata nella tradizione e nella ricerca nel campo della maglieria, “nativa” è quella di approdo, promossa attraverso una successione di immagini. In particolar modo il knitwear è animato da motivi stilizzati ispirati agli Yeii, spiriti benevoli simbolo di protezione per gli Indiani d’America.
Cosa rappresenta per te il colore, e qual è il colore che ti rappresenta maggiormente?
Il colore è uno dei fulcri dominanti del mio lavoro, come potrei sceglierne uno soltanto?
Nel processo di realizzazione delle tue collezioni ti avvali della collaborazione di artigiane appartenenti ad economie emergenti come Mali, Burkina Faso ed Haiti. Quanto è fondamentale per te il know how di queste donne? E quanto influiscono le loro tradizioni nella nascita delle tue collezioni?
Grazie alla collaborazione con il programma di moda etica delle Nazioni Unite, ho iniziato a collaborare con artigiani africani e haitiani sulla base di un principio di rivalutazione, impatto economico e rispetto dei territori, delle risorse e tradizioni delle comunità indigene che vanno sostenute, preservando un infinito patrimonio di antichi saperi a rischio di estinzione e contrastando la livella svilente della massificazione imperialista. Tutto questo è mirato a generare impresa e autosostentamento nelle comunità locali, evidenziando la forza motrice femminile, tramite la consapevolezza e l’orgoglio delle proprie risorse al fine di innescare un meccanismo d’indipendenza che scardini il fallimentare assistenzialismo. E’ fondamentale iniziare ad evidenziare che la reale sostenibilità non arriva con i cargo, ma nasce dall’interno di ogni singolo villaggio con il giusto sostegno organizzativo e la nuova dignità conferita a livello globale. Migliaia di chilometri fatti di incontri e di racconti cui segue un attento studio delle tradizioni locali, con il fermo obiettivo di raggiungere una crescita bilaterale. Ho ancora tantissimi paesi da visitare e di cui conoscere tradizioni e saperi, avvalendomi di un potente strumento di comunicazione come la moda per promuovere le abilità e le piccole imprese locali, mettendo sempre nel mio lavoro un senso che vada oltre l’estetica.
Nei tuoi modelli c’è sempre un cenno all’arte pittorica. La musica invece cosa rappresenta per te e le tue creazioni? È fonte di ispirazione? Se si, in che modo?
La musica, così come l’arte, la letteratura, il cinema e tutte le espressioni creative in genere, rappresenta per me un’ottima fonte di ispirazione. L’Italia poi è uno dei pochi paesi al mondo che può vantare una stratificazione storico-artistica e culturale unica. Artigiani, designer e stilisti ne assorbono gli stimoli sotto forma di input creativi capaci di tradursi in manufatti e prodotti di alto livello qualitativo.
Come giovane talento di fama internazionale, cosa ti senti di consigliare ai giovani che vogliono intraprendere la tua stessa strada?
Ogni designer, così come ogni singolo individuo, non dovrebbe mai temere di mostrare il proprio DNA e l’unicità che lo contraddistingue. Il mio suggerimento è di non seguire con foga i dettami del mainstream, accettare le sconfitte e rimanere sempre se stessi.
Interview by Emira M’Sakni